Quarant’anni fa, la conquista del “Monte” di Jean-Pierre Nicolas

Di Enrico Formento Dojot

MONTECARLO – L’eco del “Monte” 2018, appena concluso, ci porta lontano, ad un’epoca di pionieri. È il 21 gennaio 1978, giusto quarant’anni fa. Duecentosedici equipaggi (qualcuno in più rispetto ai giorni nostri …) si accingono ad affrontare il Rallye di Montecarlo, partendo da sette città europee, Almeria, Copenhagen, Francoforte, Montecarlo, Parigi, Roma, Varsavia, destinazione Gap. Certo, perché, all’epoca, il “Monte” prevedeva, al suo interno, ben quattro percorsi: concentrazione (dalla sede di partenza a Gap), classificazione, comune e finale. Un tour de force faticosissimo, che metteva a dura prova piloti e macchine. Il percorso di concentrazione non veniva cronometrato e non valeva per la classifica, ma era spesso insidioso, anche per la sua lunghezza: appena tre anni prima, ne erano rimaste vittime la Stratos di Lele Pinto e la Beta Coupé di Amilcare Ballestrieri.

A Gap partiva la competizione vera e propria. Sandro Munari, cui la Lancia aveva affiancato Fulvio Bacchelli, tentava un leggendario pokerissimo, dopo le affermazioni del 1972, 1975, 1976, 1977. Ma il destino della Stratos era ormai segnato, il Gruppo Fiat aveva già dall’anno precedente puntato sulla 131 Abarth, vettura più vicina alla quotidianità, che aveva rilevato i colori dello sponsor Alitalia; per la bête à gagner, un anonimo tricolore nero – bianco – rosso. In più, il motore Dino Ferrari a sei cilindri poteva contare su 12 valvole, essendo scaduta l’omologazione per il 24. Quindi, largo alle 131 Abarth, con Walter Röhrl, Maurizio Verini e Bernard Darniche; uno squadrone, senza dubbio. Qualche chance la nutriva la Renault, che schierava due R5 Alpine Gruppo 2, puntando sulla predisposizione a gestire meteo capricciosi; al volante, Jean Ragnotti e Guy Fréquelin. Infine, i fratelli Almeras avevano affittato una Porsche Carrera 3.0 per Jean–Pierre Nicolas, uno degli interpreti principe dell’Alpine A110, mai primo nel Principato. Lancia e Fiat iniziano dominando, poi, nella prova di Saint Geniez, trentacinque chilometri interamente innevati, si affacciano nelle parti alte della classifica le due Renault di Ragnotti e Fréquelin. Intanto, Sandro Munari viene tradito dalla scatola del cambio e deve abbandonare: sfuma il sogno della cinquina per il Drago di Cavarzere.

Dopo il percorso di classificazione, sei piloti sono racchiusi in quarantacinque secondi: nell’ordine, Fréquelin, Ragnotti, Röhrl, Bacchelli, Nicolas e Verini. Il percorso comune vede inizialmente Röhrl prendere la testa, ma nella prova di Mont des Miolans la neve fa emergere Nicolas, che si issa al comando: non lo lascerà più. Lo seguono Ragnotti e Fréquelin, a mezzo minuto, poi Röhrl e Verini, più staccati. A Saint–Jean– En–Royans, Röhrl paga un tributo definitivo, per noie elettriche. Si mette invece in luce un giovane Federico Ormezzano, che al volante di una Opel Kadett GT/E Gruppo 1, segna il secondo tempo della frazione. Il suo compagno Kulläng si aggiudica la Montauban–sur-l’Ouvèze, mentre Verini ammaina la bandiera a causa della scelta delle gomme.

Alla vigilia del percorso finale, Nicolas conta già un minuto e mezzo su Ragnotti e oltre due minuti su Fréquelin. Darniche e Röhrl approfittano dell’asfalto libero, che si addice alle loro 131 Abarth e tentano la rimonta. Ma sul Turini e sul Couillole la strada innevata premia ancora Nicolas e le due Renault. Bacchelli esce di strada sul Turini e la classifica si delinea definitivamente. Vince, a trentacinque anni, quando ormai probabilmente non ci sperava più, Jean–Pierre Nicolas, con la Porsche privata, davanti a Jean Ragnotti, staccato di 1’52” e a Guy Fréquelin, a 2’52”. Poi, tre 131 Abarth: a 3’19” Röhrl, a 5’41” Darniche e a 6’20” Andruet, che correva per Fiat France. Settima la prima Lancia Stratos, condotta dalla bravissima Michèle Mouton, con l’esemplare iscritto dall’importatore francese Chardonnet, a vincere la Coppa delle Dame.