Valli Cuneesi 2011, la colpa è anche della vittima

Le motivazioni della sentenza sottolineano un concorso di colpa fra vittima e frangenti che ne causarono la morte. Per quel tragico rally furono più le assoluzioni che le condanne, per queste ultime è già pronto un ricorso. Nel frattempo l’organizzatore Capello fa alcune considerazioni sull’annoso problema della sicurezza: quella di chi assiste ma anche di chi corre. A cura di Marco Mincotti. Foto archivio Elio Magnano del Rally Valli Cuneesi 2015

Piero Capello organizzatore rally (Custom)CARMAGNOLA (TO) – Laddove la giustizia esula dai suoi normali percorsi, addentrandosi in tematiche che la conducono in materie puramente sportive e in parte legate alle nude e crude regole del Codice della Strada, possono scaturire sentenze che, inevitabilmente, creeranno un precedente. Lo si deduce scorrendo le motivazioni di quella che, lo scorso ottobre, portò all’assoluzione di gran parte degli imputati al processo per il “tragico rally”, quello delle “Valli Cuneesi”, che nella sua 17esima edizione, datata 2011, risultò quanto mai nefasto a causa della morte dello spettatore, Mario Scanavino, 60enne di Bardonecchia. Il malcapitato perì in quanto travolto da una delle auto in gara uscita accidentalmente di strada. Fu una fatalità, questo è al di fuori di ogni dubbio, che oltre a falciare la vita della vittima segnò fortemente quelle di chi rimase, di chi ebbe la sfortuna di assistere, di chi in qualche modo venne ritenuto responsabile dalla legge, quella legge implacabile ma che sa anche, se non proprio perdonare, comprendere fino in fondo una questione delicata come fu quella del “Valli”, arrivando a riconoscere una sorta di “concorso di colpa” con chi quel giorno perse la vita.

tDSC_2609 (Custom)Detto così suona forte, ma per il tribunale andò così. E per questo, in ambito rally, quella sentenza risulta così importante, in quanto non si è scagliata implacabilmente contro chi la corsa l’aveva organizzata, l’aveva disputata, l’aveva vigilata, accogliendo la tesi della fatalità, provocata in parte dalla posizione non proprio consona in cui il malcapitato Scanavino si venne a trovare in quel momento, come sottolineato dal giudice. Tuttavia quando è la morte ad essere discussa in un’aula di tribunale non potrà mai essere tutto rose e fiori. E infatti il verdetto non fu caratterizzato da sole assoluzioni piene. Ci furono anche delle condanne, quelle a carico dei conducenti della vettura apripista Zero, l’auto che solcò il tracciato pochi minuti prima dei concorrenti in gara. Sei mesi con la sospensione condizionale (pena analoga per un commissario di percorso, ndr); un dolore profondo per il papà della corsa cuneese Pierluigi Capello, storico patron della Sport Rally Team di Carmagnola, assolto insieme al direttore di gara, all’ispettore di sicurezza e ai componenti dell’equipaggio dell’altra apripista.

tDSC_3308 (Custom)Come dire loro sì, gli altri no. Per questo con il suo staff legale sta approntando i dettagli del ricorso in Appello che deve essere presentato entro il prossimo 15 febbraio. “Fino ad ora non abbiamo avuto sentori riguardo ad un eventuale ricorso della Procura nei confronti di noi assolti – ha spiegato Capello – quindi possiamo concentrarci in questa azione con la quale speriamo di ottenere giustizia anche per i ragazzi della Zero, secondo noi colpevoli di un bel nulla”. E prosegue, “chi conduce quella particolare vettura precede di dieci, massimo quindici minuti, i corridori veri e propri. Hanno il compito di accertarsi che la strada sia sgombra, avvisano se c’è un ostacolo sulla carreggiata oppure se è presente un eccessivo assembramento di persone in prossimità di una curva o comunque di un tratto dove le auto potrebbero uscire dal nastro asfaltato. In presenza di tali frangenti avvisano bloccando la partenza. Ma non possono accorgersi di un gruppo sparuto collocato in una zona nemmeno interdetta al pubblico ma solamente ‘sconsigliata’. La zona in cui stazionava Scanavino infatti veniva considerata, allora come oggi, totalmente “neutra” dai noi dell’organizzazione, quindi non classificata come pericolosa ma perlopiù inadatta. Non a caso l’auto che poi lo travolse uscì circa duecento metri prima di quel punto, carambolò in maniera del tutto inaspettata e solo per un crudele destino piombò sullo spettatore. Un incidente dettato da condizioni inattese insomma, non certo colpa di chi conduceva l’apripista Zero. Ecco quindi i motivi su cui si baserà il ricorso”.

Riva_tDSC_4736 (Custom)Quel filo sottile. La legge vuole, deve trovare un responsabile. Ma per fortuna non è sempre così cieca e cerca di capire, individuando quei dettagli che portano poi alla lettura di un fatto tragico come quello del “Valli” non solo come un incidente che poteva essere evitato, ma come un accadimento dettato da tanti fattori, dove le responsabilità si mescolano con i giochi del fato. Sotto questo aspetto le motivazioni della sentenza che ha concluso in primo grado il processo sul rally è chiara. Scrive il giudice: “il principale fattore causale che ha determinato l’evento è da individuarsi proprio nell’imprudente condotta dello sfortunato spettatore; questi infatti si posizionò in un punto del percorso assai pericoloso… l’indisciplina quindi ha avuto un ruolo causale importante nell’evoluzione del dramma, specie ove si consideri che, proprio in ragione della peculiare natura della prova motoristica, in quel tratto di strada, come negli altri, i piloti erano indotti a cercare il limite per ottenere prestazioni in grado di sopravanzare quelle degli altri concorrenti”. Il limite dice il togato; un termine che porta Capello a fare una delle considerazioni che gli sono scaturite alla lettura delle motivazioni della sentenza. “Un tempo il pilota cresceva insieme alla macchina, aveva modo di testare ogni sua evoluzione volta per volta, arrivando davvero pronto al momento della competizione. Oggi invece l’auto si evolve in mano ai tecnici, per arrivare al driver solo per un velocissimo test prima del via. La progressione di questi motori è sempre maggiore e qualche volta ho il dubbio che chi si mette al volante di tali bolidi non ne sia completamente consapevole. E questo certamente compromette la sicurezza, andando anche a discapito del pubblico, soprattutto quando non è posizionato bene e si trova nel punto sbagliato nel momento in cui si verifica un’uscita di strada con conseguente perdita di controllo”. E così torna il fattore “casualità totale”, mescolato alla competitività che porta a spingere sul gas, alle caratteristiche della strada, a tutti quei fattori che stanno all’origine della tragedia di cui si è discusso in aula. Lo stesso giudice infatti specifica come la condotta di Scanavino non fu l’unica causa dell’evento.

tDSC_4953 (Custom)Velocità, un termine “bandito”. “Oggi noi organizzatori di rally non possiamo più parlare di velocità, ci è praticamente vietato citarla nei documenti inerenti la gara. È diventato un termine interdetto”. Capello dice queste poche parole rigirando i fogli del tribunale. Parla ma per un attimo è altrove, forse a quel maledetto giorno. Poi torna al punto. Tratti cronometrati, ecco come possiamo mascherarla. Ma sempre di auto che vanno forte parliamo, auto per cui ACI Sport Italia non si è mai concretamente mossa per fornire loro una legalità degna di questo nome. Ed è per questo che nel momento in cui si verifica la morte di uno spettatore, come appunto accadde al Valli, un giudice che vuole davvero mettere a nudo la situazione, senza distribuire colpe facili, è costretto a cercare delle motivazioni fuori dallo sport, affrontando una difficile e coraggiosa strada che lo porterà ad accomunare le normative federali con quelle delle giustizia ordinaria, passando per quanto detta il codice della strada”. E conclude, “nel suo giudizio deve tener conto che a noi non è consentito vietare l’accesso ad una determinata zona, in quanto  possiamo solo indicare al pubblico di non mettersi li, perché è pericoloso o potrebbe esserlo. Ma poi le cose succedono e il dito accusatore viene inevitabilmente puntato su chi doveva vigilare di più, su chi ha messo in piedi l’evento. E pensare che sotto l’aspetto della sicurezza credo che difficilmente si possa fare di più. Abbiamo commissari a vista, punti radio ogni cinquecento metri e tecnologie sempre più sofisticate per monitorare il tracciato. Il resto sta al buon senso di chi assiste alle prove speciali, o forse siamo noi che non valutiamo correttamente tutte le potenziali insidie della location scelta per il tracciato. In tale frangente potrà forse tornare utile la nuova figura voluta da ACI Sport Italia. Si tratta del DAP, ovvero il delegato all’allestimento delle prove. Ci è stato annunciato nelle scorse settimane a Roma durante la presentazione dei calendari agonistici. Cercheremo di capire se si tratterà di un semplice scarico di responsabilità oppure di qualcosa di più concreto, come magari una soluzione al problema della sicurezza nei rally, che rischia di compromettere fortemente questa disciplina”.

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