DNA. I geni dell’automobile nell’ industrial-design protagonisti al MAUTO di Torino

Testo del curatore della mostra Giosué Boetto Cohen, foto Giuliano Berti

Il Compasso d’Oro premia la Fiat 500 di Dante Giacosa nel 1959. Nel 1960 onora la Abarth 1000 di Zagato.  Ma per rivedere un’automobile sul podio del design italiano bisognerà attendere ventuno anni e la Panda, nel 1981. L’assenza durata un quarto di secolo non è casuale. E invita a indagare il complesso rapporto tra design e car-design, l’alta scuola milanese e ciò che è successo a Torino nella grande fabbrica. Una ha sedotto il mondo, l’altra ha fatto sognare il popolo. La prima è fiorita tra università e illuminismo industriale, i maestri, i Saloni, le ammirate riviste. La seconda è fatta di gente cresciuta sul campo, sotto l’occhio degli ingegneri, compressa tra le necessità tecniche della produzione di massa e la curva dei costi.

Anche la committenza è diversa: cosmopolita e progressista la borghesia meneghina, tendenzialmente conservatore il torinese della Crocetta, e con una visione internazionale più sfumata. Con le dovute eccezioni. Quasi in mezzo, infine, c’è il miracolo Olivetti, che fonde il meglio delle due attitudini. Molti sono comunque i punti di contatto: la scuola del non spreco, l’oggetto apparentemente semplice, in realtà geniale, il primato della funzione e della vicinanza all’uomo. Quella cosa che viene da lontano e che contribuisce a definire l’italian-design.

Attratti dal terreno comune, allontanati da un passato che però stava cambiando, alcuni car-designer hanno compiuto importanti sortite. Altri, vicini ad altri ambiti fin dalla loro formazione, hanno sviluppato due anime e sovrapposto le strade.

Meno immediata o frequente è stata l’opera degli architetti nei dintorni dell’auto. Alcune ricerche specifiche tra avanguardia e provocazione (Ponti, Zanuso, Bellini). Consulenze e interscambi per il Centro Stile Fiat (Hosoe, Sapper, De Lucchi, Nouvel). E poi gli elementi d’arredo divenuti cult (Castiglioni, Bonetto, Kita), che raccontano di sguardi attenti e scanzonati, Raffinate sintesi di qualcosa che ha a che fare con la catena di montaggio. 

L’apporto dei “geni” del car design in prodotti lontani dall’auto ci ha lasciato però qualcosa in più.  La macchina fotografica che diventa finalmente impugnabile, la lampada essenziale che corre su un filo, l’asciugacapelli da albergo che non si può rubare, sono solo tre esempi di valore aggiunto.  Rintracciare gli altri, disseminati nella galleria degli oggetti qui esposti, sarà un esercizio ricco di sorprese e anche divertente. Scuola di vita e pensiero: vita divisa tra tavolo da disegno e officina, per mettere subito alla prova la bontà delle idee. Vita accanto ai committenti, per accompagnare il progetto verso produzione. Pensiero allenato da uno dei prodotti industriali più significativi e complessi.  Mente tecnica, concreta, ma anche edonistica e perfino fantastica, perché molto di automobili ha sognato l’uomo attraverso il ‘900.

Le isole dedicate ai car designers

DNA Tom Tjaarda, 1934 – 2017. La storia di Tom Tjaarda non è solo quella delle sue, pur bellissime, automobili. Appartiene al genere delle avventure dei ragazzi coraggiosi. Quelli che attraversano gli oceani, si buttano a capofitto, colgono al volo le occasioni della vita. Dopo una partenza “di provincia” dai sobborghi di Detroit e un lungo viaggio in nave, Tjaarda sbarca nel 1958 a Torino. La Ghia all’apice del suo fulgore è la prima scuola e la prima automobile. Poi gli anni da Pininfarina, l’apprendistato a “Italia ’61”, la Corvette Rondine, la 124 spider, le Ferrari. Alla nuova Ghia di Alejandro De Tomaso nasceranno la Ford Fiesta e la supercar Pantera, suo capolavoro. E infine il centro stile Fiat, Fissore, molti anni di libera professione. In tutto questo Tjaarda ha sempre attinto alle sue radici di architetto, progettando abitazioni, elementi d’arredo, elettrodomestici e una macchina da scrivere degna di un carrozziere.

DNA Giorgetto Giugiaro, 1938. Progettista di oltre trecento vetture (tra prototipi e auto di serie), “Car designer del secolo”, fondatore con Aldo Mantovani della Italdesign nel 1968, Giugiaro è un capitolo a parte nella storia della carrozzeria.  Unico, tra i grandi nomi, a disegnare personalmente le sue creazioni, ha firmato sportive da sogno e celebri utilitarie. Dalla Alfasud alla Golf, dalla Panda alla Uno e alla Punto, hanno accompagnato tre generazioni di automobilisti. Alla fine degli anni ’70, con la Giugiaro Design, è entrato nel settore del disegno industriale. Ha contribuito a reinventare le macchine fotografiche (Nikon), gli orologi (Seiko e Sony), i treni (Frecciarossa e Italo), gli elettrodomestici e persino la pasta asciutta. E poi elementi d’arredo, yacht, strumenti medici, attrezzi sportive. Sempre partendo dal DNA automobilistico, dalle leggi della produzione su larga scala e della funzione.

DNA Pio Manzù, 1939-1969. Molti ricordano Pio Manzù per la sua morte improvvisa, mentre andava al battesimo della Fiat 127, da lui appena concepita. Ma c’è molto altro nella vita di questo designer colto e visionario, cresciuto alla scuola del Bauhaus e sbocciato in quella italiana del grande design. Appena laureato Pio è stato protagonista di una breve ma intensa esplosione creativa, nel corso della quale ha segnato la cultura progettuale e anticipato temi e svolgimenti dei decenni successivi. Accanto alla 127, la sua realizzazione più importante, fondamentali sono le ricerche sul City Taxi, le Autobianchi Coupè e 111, l’Autonova Fam, vera progenitrice del monovolume.

Accanto ai veicoli in chiave “sociale”, Manzù ci ha lasciato una delle lampade più celebri e una serie di oggetti che stupiscono ancora oggi per la loro funzionale, sobria bellezza.

DNA Franco Scaglione, 1926-1993. È uno dei più grandi maestri del ‘900.  Segnato da cinque anni di prigionia nella seconda Guerra Mondiale, ebbe esordi non facili, prima a Bologna e poi a Torino.  Dopo alcuni lavori per Balbo e Pininfarina fu assunto nel 1952 da Bertone.  Nascono i tre prototipi aerodinamici B.A.T. su base Alfa Romeo, le Arnolt Bristol 404 X coupé e Spider, la Giulietta Sprint e SS, la SIATA 208 e numerosi pezzi unici per Aston Martin, Abarth, Jaguar e Maserati. Lasciato Bertone nel ’59 firma, tra le altre, la Lamborghini 350 GT, numerosi modelli Intermeccanica e la celebre Alfa Romeo 33 Stradale del ’67. Tra la fine degli anni ’40 e i primi ’50, Scaglione ha collaborato con alcune Case di moda. Quasi tutti i figurini sono andati perduti, ad eccezione di quelli qui esposti accanto – in prima assoluta – a due creazioni per la moglie Maria Luisa.

DNA Paolo Martin, 1943. Nella primavera del 1970, a Ginevra, la storia dell’auto, del design e forse di una parte dell’arte contemporanea subì un contraccolpo. Il prototipo Ferrari Modulo, presentato dalla Pininfarina, era sceso sulla Terra. Spenti i riflettori, l’incredibile concept-car iniziò a fare il giro del mondo, ospite dei Saloni, ma anche dei templi della cultura e della modernità. L’aveva disegnata il ventiquattrenne Paolo Martin. Nato in una famiglia di origine contadine, autodidatta, era stato il tipico “Meccano boy”. Con in più un altro giocattolo magico: il coltello, simbolo di libertà e capacità manuale. Lo studio di Martin è ancora oggi popolato da decine di modelli in legno, realizzati a mano nel corso della vita. Rappresentazioni 3D di automobili, moto e biciclette, barche, elettrodomestici, oggetti per la casa e la cucina, occhiali e calzature.

DNA. Walter De Silva, 1951. Walter De Silva ha lasciato un segno profondo nelle automobili Alfa Romeo e del Gruppo Volkswagen. Alcune, come le Alfa 156, 147 e l’Audi A5 Coupè (2007), sono considerate capolavori, ma la sua mano o supervisione sono evidenti in una intera generazione di modelli. L’architettura e le proporzioni, punto di partenza della ricerca di De Silva, regolano gli elementi longevi e tramandabili dell’auto, ma anche lo stile dei prodotti di industrial design. A questi il progettista si è dedicato da giovane, nello studio di Rodolfo Bonetto, e poi negli anni recenti. “Forme in movimento ai piedi delle donne” è il concept alla base delle calzature, ampiezza di postura e semplicità caratterizzano la poltrona Frau “Luft”, perfetta cottura e innovazione estetica promettono i “Papiri” della pasta Barilla, complessità in un involucro essenziale si ritrovano nelle fotocamere Leica.

DNA Rodolfo Bonetto, 1929-1991. Autentica figura ponte – insieme a Pio Manzù – tra design e car-design, Bonetto ha studiato e progettato nei campi industriali più diversi: macchine utensili, per le telecomunicazioni e chirurgiche, orologi domestici, lampade, elementi d’arredo, esterni e interni di autovetture. Ha fornito un importante contributo all’insegnamento alla celebre Hochschule für Gestaltung di Ulm e, in seguito alla Isia di Roma. La sua opera spazia su tre decenni cruciali dello stile italiano e si intreccia con una precoce attività di musicista e scenografo televisivo. Due volte presidente dell’ADI, Bonetto è stato premiato con otto compassi d’oro, di cui l’ultimo alla carriera.

DNA Pininfarina. Se Pininfarina è diventato il più celebre carrozziere del mondo, archetipo di eleganza, proporzioni e stile italiano, dalla metà degli anni ’80 ha applicato la sua cultura progettuale in altri settori, dove la bellezza si sposa con il confort, l’ergonomia, la sicurezza.

L’uomo e le sue esperienze restano al centro del processo creativo, che si tratti di uno yacht o di un elettrodomestico. Forme innovative e al tempo stesso rassicuranti, fluide, che rimandano in modo più o meno impercettibile alle concept-car e al culto dell’aerodinamica. Sulla strada, in movimento, come nello spazio domestico, per comunicare l’idea del “nido” seducente e protettivo. Un’identità sempre collegabile alla firma, che sposi prestazione e affidabilità, per una cucina o uno scarpone da sci, per i sedili di una fuoriserie o una poltrona da salotto.

DNA Italdesign. Correva l’anno 1968. E nella Torino dell’automobile l’Italdesign fu la prima a rovesciare lo stereotipo del bello applicato solo alle vetture costose. La formula, nel mondo dei carrozzieri, era nuova: lavorare per la grande produzione, offrendo un servizio progettuale a tutto tondo, anche per lo sviluppo di veicoli popolari. La voglia di stupire ed eccellere non si è fermata a un solo comparto: dagli anni ’70, l’azienda si è espressa in campi diversificati, armonizzando storia, valori e immagine di marca e facendo “parlare” la funzione dell’oggetto col linguaggio formale Italdesign. Nata nel 1981 per volontà di Giorgetto Giugiaro, dal 2010 parte del gruppo Audi/VW, la Italdesign Industrial Division non ha mai mutato la sua missione e negli anni ha dato vita ad oltre 1000 progetti di industrial e transportation design.

DNA. Giovanni Savonuzzi, 1911-1987. A Giovanni Savonuzzi, ingegnere e designer ferrarese, si devono le linee guida della Cisitalia, il cui 50° anniversario al MoMA ha ispirato questa mostra.  Prima della Coupé 202, Savonuzzi aveva già progettato la 202 Aerodinamica, con una coda diversa, ed altre varianti da competizione tra cui una monoposto. La versione stradale verrà messa a punto, nella coda, da Pininfarina, che ne produsse anche il maggior numero e la rese celebre nel mondo.

Lasciata la Cisitalia, Savonuzzi ebbe un’altra proficua stagione alla Ghia, dove disegnò lo spettacolare prototipo “Gilda” e la serie delle “Supersonic”. Nel 1957 si trasferì alla Chrysler di Detroit, per dirigere lo sviluppo dell’auto a turbina.

Nel corso della sua vita, ecclettica ma lontana dai riflettori, progettò anche scafi da competizione, motori fuoribordo e idrovolanti.

Oggetti diversi e Maestri dell’Industrial Design

General Motors.  Modello di figura umana per progettazione automobilistica 1950 circa (riproduzione d’epoca). Oggetto parte della Collezione Permanente del Museum of Modern Art, New York

Brembo Disco e pinza per freno in carbonio ceramico 2004. Compasso d’Oro

(Dalle motivazioni della Giuria) Se non fosse un freno ad alte prestazioni sarebbe una scultura degna di qualunque museo d’arte moderna.

Achille e Pier Giacomo Castiglioni, 1918-2002 / 1913-1968. Achille Castiglioni si laurea al Politecnico di Milano nel 1944 e inizia a operare nello studio dei fratelli Livio (1911 – 1979) e Pier Giacomo (1913 – 1968) spaziando dai progetti di urbanistica e architettura, alle esposizioni e al product-design. Nel 1944 partecipa, insieme ai fratelli, alla VII Triennale e successivamente si occupa della ricostruzione postbellica. Tra il ’55 e il ’79 vince sette premi Compasso d’Oro, l’ultimo nel 1979 per la lampada Parentesi progettata insieme a Pio Manzù. Anche alla Triennale si aggiudica numerosi riconoscimenti. Alla fine degli anni ’50 compie uno studio sul colore delle automobili in rapporto a sicurezza e confort. Nel ’73 – insieme all’architetto Giancarlo Pozzi – presenta alla Lancia un prototipo di sedile anatomico per autoveicoli, con la consulenza di un ortopedico e la produzione B&B. Quattordici delle sue opere sono presenti al MoMA di New York.

Sgabello Mezzadro, Zanotta, 1957

Oggetto parte della Collezione Permanente del Museum of Modern Art, New York

Lampada Toio, Flos, 1962

Oggetto parte della Collezione Permanente del Museum of Modern Art, New York

Ron Arad, 1951. Dopo gli studi alla Jerusalem Academy of Art e all’Architectural Association di Londra, nel 1981 fonda con Caroline Thorman lo studio One Off e poi, nel 1989, la Ron Arad Associates. Ha conseguito il titolo di Royal Designer for Industry nel 2002 e la London Design Medal nel 2011. È stato docente alla Hochschule für angewandte Kunst di Vienna e poi, al Royal College of Art di Londra, di cui è oggi Professore Emerito. Nel 2013 è divento membro della Royal Academy of Art.

La sua continua sperimentazione sulle potenzialità di materiali come l’acciaio, l’alluminio e la poliammide, e il suo radicale ripensamento della forma e della struttura dei prodotti di arredo lo collocano in prima linea nel design contemporaneo. Nel suo lavoro si fondono in una sintesi virtuosa culture lontane che, dialogando tra loro, evidenziano il ruolo del design quale veicolo di conoscenza e di interpretazione della realtà.

Poltrona Rover, Edition by One Off Ltd., 1981

Oggetto parte della Collezione Permanente del Museum of Modern Art, New York

Peter Raacke, 1928 -2022. Peter Raacke ha iniziato la sua formazione all’Accademia statale di disegno di Hanau, poi ai Werkschulen di Colonia e all’École National Supérieure des Beaux-Arts di Parigi.

Ha progettato numerosi oggetti di uso comune che hanno contribuito a plasmare l’estetica quotidiana della Repubblica Federale Tedesca.

Tra i prodotti più celebri, il servizio di posate Mono-A, esemplare per semplicità e perenne modernità. Nel 1966 Raacke è stato il primo designer a sviluppare una linea di mobili in cartone ondulato, con bassi costi di produzione e destinati a grandi volumi di vendita. Il suo Apribottiglia, che richiama le forme di un volante o una ruota, fa parte – insieme ad altre creazioni – della collezione permanente del MoMA.
Come docente presso le scuole di design di Darmstadt, Saarbrücken, Kassel e Ulm e all’Università di Belle Arti di Amburgo, Raacke ha influenzato molti giovani designer.
Apribottiglia, Hessische Metallwerke (oggi Mono GmbH), 1971

Oggetto parte della Collezione Permanente del Museum of Modern Art, New York

Toshiyuki Kita, 1942. Nato ad Osaka nel 1942, dal ’69 ha ampliato la sua sfera professionale dal Giappone all’Italia e alla scena internazionale, come designer dell’ambiente e di prodotti industriali. È stato special advisor presso i Governi di Singapore, Tailandia e Cina per la riscoperta del design nazionale. Ha progettato numerosi oggetti di successo, dall’arredamento ai televisori LCD, dai robot agli elettrodomestici, ai complementi d’arredo. La celebre poltrona Wink, con elementi di ispirazione automobilistica, fa parte della collezione permanente del MoMA. Nel 2011 Kita ha vinto il Compasso d’Oro alla carriera.

Negli anni recenti si è dedicato alla formazione, tenendo seminari e laboratori in Giappone, in Europa e in Asia. Continua, come ha sempre fatto, a coltivare l’attenzione per le tecniche artigianali e lo sviluppo delle attività produttive locali.

Poltrona Wink, Cassina, 1980

Oggetto parte della Collezione Permanente del Museum of Modern Art, New York

Marco Zanuso, 1916-2001. Uno dei più grandi maestri della progettazione industriale degli ultimi cinquant’anni. Zanuso, nella sua lunga carriera, ha realizzato opere architettoniche di grande pregio ed è stato tra i padri fondatori del design industriale italiano. Insieme al gruppo BBPR, ad Alberto Rosselli, Franco Albini, Marcello Nizzoli e i fratelli Castiglioni, fu protagonista del dibattito nel dopoguerra sul Movimento moderno. Zanuso è anche stato uno dei primissimi ad interessarsi all’applicazione dei nuovi materiali e tecnologie agli oggetti di uso comune. Le sue opere (tra le altre, le iconiche radio, tv portatili e giradischi Brionvega), ottennero numerosi riconoscimenti. Tra questi sette Compassi d’Oro e sei premi della Triennale di Milano. Molte sono esposti presso il MoMA e le collezioni permanenti dell’ADI e della Triennale. Nel 1963, con Richard Sapper, firmò lo studio per una berlina Alfa Romeo.

Ventilatore Ariante, Vortice, 1973

Compasso d’Oro 1979

Sezione “Le auto del Compasso d’Oro”

Fiat 500N, 1957 Dante Giacosa Compasso d’Oro 1959

(Dalla motivazione della Giuria). La vettura Fiat 500 costituisce un tipico esempio, nel campo dell’automobile. Di una forma nata dalla stretta integrazione fra tecniche proprie della grande serie nell’industria meccanica e particolari esigenze di economia nella produzione di una macchina di ampia destinazione popolare.  Il premio, sottolinea la coraggiosa rinuncia alla figuratività tradizionale dell’automobile attraverso un riesame del complesso dei suoi elementi fondamentali. E intende portare in rilievo il fatto che tale concezione – oltre ad aver condotto il designer alla massima limitazione degli elementi superficiali del costume decorativo – segna una importante tappa nella strada verso una nuova genuinità espressiva della tecnica.

Fiat 500 (modello di stile), 2007. Roberto Giolito – FCA Compasso d’Oro 2011

(Dalla motivazione della Giuria). Compasso d’Oro per la capacità di reinterpretare un’icona del design italiano senza connotati nostalgici.

Fiat Panda, 1980. Giorgetto Giugiaro – SIRP Italdesign. Compasso d’Oro 1981

Le motivazioni della giuria non furono formulate in quella edizione del Premio. Negli appunti di una riunione ADI si legge: “Con Panda si è ribaltato il concetto tradizionale di vettura 

economica: invece del massimo servizio dentro il minimo spazio si è passati al massimo spazio vivibile dentro costi contenuti”.

Alfa Romeo Brera, prototipo, 2002. Giorgetto Giugiaro – Italdesign Giugiaro Compasso d’Oro 2004

(Dalla motivazione della Giuria). Raramente la complessa combinazione di volumi che costituisce il corpo di un’automobile è stata espressa con linee così nette, essenziali e armoniose: il risultato è una delle automobili più belle e affascinanti che siano mai state realizzate.

Nido, concept car, 2004. Pininfarina. Compasso d’Oro 2008

(Dalla motivazione della Giuria). Riflettendo sul tema della sicurezza e della mobilità urbana, il team progettuale si è concentrato sui veicoli di piccole dimensioni (..) a due posti. Come suggerisce il nome, Nido accoglie e protegge il guidatore attraverso tre elementi principali: un telaio composto da una parte anteriore deformabile e da una cellula rigida intorno agli occupanti; un guscio che ospita conducente e passeggero e si comporta come una slitta in grado di scorrere orizzontalmente su una guida centrale; due assorbitori che agiscono come dissipatori di energia. (…) Anche le scelte cromatiche enfatizzano gli elementi legati alla sicurezza.