ATS, rinasce la sfida della top car del terzo millennio

TORINO – L’operazione è di alta chirurgia genetico/aziendale: una volta trovato un marchio del 1962, ATS, con tracce ben conservate di DNA (che recita: “Spirito di avventura, passione vera, voglia di sfida, amore per le belle automobili, cura del dettaglio e innovazione”) la missione è di riportarlo. L’operazione non è semplice ma, a ben vedere, non impossibile se chi se ne occupa è animato dallo stesso entusiasmo di cinquant’anni fa e mostra lo stesso DNA imprenditoriale. L’impresa di oggi parte da Torino, dove affondano le loro radici la storia dell’automobile, la storia dello stile e del design italiano a quattroruote.

Non va dimenticato infatti che la sfida di Daniele Maritan ed Emanuele Bomboi è anche quella di valorizzare un patrimonio tutto tricolore e, assieme al rilancio di un marchio storico, di rilanciare pure quel modo italiano di disegnare le automobili, morbido e seducente, che aveva portato la “scuola italiana” sul tetto del mondo. Parole quali sfida, avventura, bellezza, passione rappresentano i valori che costituivano il minimo comune denominatore del gruppo di fondatori della ATS nel 1962 e che oggi ritroviamo in coloro che riportano alla luce questo marchio. C’è un filo conduttore in tutto ciò, c’è una sensibilità comune che fa dei protagonisti di oggi gli eredi legittimi di quelli di ieri.  Non solo, questa comunanza di valori indica chiaramente la “nuova” ATS GT quale legittima erede di quella GT che, nel 1963, fu considerata la massima espressione tecnica e stilistica per una Gran Turismo.

Un po’ di storia. A fine 1961 la Ferrari aveva vinto da poco il Campionato del Mondo di Formula 1, eppure una vera burrasca aveva attraversato in quelle settimane il cielo di Maranello, al termine della quale otto tecnici e dirigenti si trovarono licenziati dalla sera alla mattina. Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini, i due direttori tecnici, Romolo Tavoni, direttore sportivo, Girolamo Gardini, direttore commerciale, Federico Giberti, direttore di produzione, Ermanno Della Casa, direttore amministrativo, Fausto Galassi, direttore della fonderia ed Enzo Selmi, direttore del personale, erano gli otto dirigenti messi alla porta e il comunicato con cui la Ferrari ufficializzò questo licenziamento di massa faceva riferimento a una “supervalutazione di fatti marginali che nulla hanno a che fare con la normale vita di un’azienda” . Non è il caso, in questa sede, rivangare quei fatti e analizzare i come e perché portarono a quel licenziamenti di massa. Sta di fatto che, in pochi giorni, alcuni dei migliori talenti italiani nel campo dell’ingegneria automobilistica e della gestione di un reparto corse si ritrovarono in mezzo ad una strada.

Il gruppo doveva fronteggiare un problema enorme e cercare il modo di dare un seguito ad una carriera sino a quel momento assai brillante. Velocemente prese corpo l’idea di dare vita ad un nuovo soggetto, un nuovo costruttore, per correre e, perché no, costruire belle automobili Gran Turismo. Il sogno si tramutò rapidamente in realtà grazie a tre importanti imprenditori che si accollarono i notevoli investimenti necessari: Giovanni Volpi di Misurata, appassionato di corse a già alla guida della Scuderia Serenissima, Jaime Ortiz Patino, svizzero di origine boliviana a capo di un impero minerario e Giorgio Billi, industriale toscano, re dei macchinari per la produzione di calze da donna. L’estate del 1962 passò in fretta: con tanto lavoro prese forma la Formula 1 ATS (che significa Automobili Turismo e Sport) e una nuova gran turismo, rivoluzionaria e bellissima, la prima al mondo con motore centrale. Ma già a novembre di quell’anno emersero dissapori e problemi tra i soci: Volpi di Misurata lasciò la ATS (e tornò a dedicarsi alla Serenissima), seguito poco dopo da Patino. Billi restò solo ma, spinto da tanta passione e da un incredibile coraggio, decise di portare avanti comunque il progetto.

La ATS si schierò quindi al via del Mondiale di Formula 1963 con i piloti Giancarlo Baghetti e Phil Hill (curiosamente entrambi ex Ferrari) ma la stagione fu molto negativa. La vettura mostrò grande potenziale e soluzioni tecniche di buon livello ma probabilmente mancarono i fondi per trovare affidabilità e prestazioni. A inizio 1963 il team dovette alzare bandiera bianca, abbandonando la scena della Formula 1. Ma nel frattempo, al Salone di Ginevra del 1963 aveva debuttato la ATS 2500 GT: frutto soprattutto delle intuizioni e del genio di Giotto Bizzarrini, la nuova ATS era bella e rivoluzionaria, tanto che la stampa di mezzo mondo ne parlò in modo entusiastico. Era in assoluto la prima GT che presentava il motore in posizione centrale, offrendo quindi una distribuzione dei pesi e degli ingombri molto innovativa, tale da far diventare improvvisamente vecchie tutte le Gran Turismo dell’epoca.

Il design si doveva a un altro genio dell’epoca, quel Franco Scaglione reduce da un lungo sodalizio con la Carrozzeria Bertone, mentre un eccellente contributo lo aveva dato anche Allemano, a cui era stata affidata la realizzazione della carrozzeria, estremamente sinuosa e aerodinamica. Le rifiniture erano di gran lusso e alcune soluzioni, quali ad esempio l’ampio bagagliaio posteriore, segno di grandissimo ingegno e creatività.

Il motore era un 8 cilindri di quasi 2.500 centimetri cubici, fratello maggiore di quello usato in Formula 1, che grazie ai suoi 220 cavalli era in grado di spingere la 2500 GT a oltre 240 chilometri orari. Pochi mesi dopo, al Salone di Torino, fu presentata anche una versione più estrema, detta 2500 GTS, con un motore da 260 cavalli, peso ridotto a 750 chilogrammi e una velocità massima di quasi 260 chilometri orari!

Destinata ad una clientela di altissimo livello (costava quasi cinque milioni di lire!… una cifra pazzesca per quei tempi) la 2500 GT fu ordinata da facoltosi appassionati al di qua e al di la dell’oceano Atlantico ma purtroppo la Formula 1, con tutti i suoi guai, ci mise lo zampino e il progetto pian piano si sgonfiò. Alla fine ne furono prodotti 12 esemplari soltanto, ma da purosangue qual’ era, trovò comunque il modo di farsi ricordare anche nel mondo delle corse.  Infatti, abbandonata la Formula 1, la ATS non chiuse subito i battenti, ci fu al contrario un periodo durante il quale cui la voglia di competere e primeggiare di Carlo Chiti e del patron Giorgio Billi riemerse prepotente e li spinse a portare in gara la GT 2500.

Il momento della verità arrivò a maggio 1964, alla Targa Florio, una gara stradale tremenda e per meccanica e piloti. Due le vetture iscritte: una per il duo Zeccoli-Gardi e l’altra per Baghetti-Frescobaldi. Le due ATS entusiasmarono: velocissime e maneggevoli, erano agevolmente al comando della gara nella propria classe quando furono costrette entrambe al ritiro. Si era rotto, su entrambe le GT, un particolare di un nuovo impianto di accensione inglese, montato solo pochi giorni prima e mai collaudato a dovere. Quella fu davvero la fine anche se, qualche anno dopo, una velocissima Sport 1.000 riportò in pista il marchio ATS. Questa della Sport 1.000 fu però una vicenda di altri uomini, con altri obiettivi, e che, tutto sommato, aveva poco a che fare con l’incredibile avventura iniziata nel 1962. In realtà era stata quell’edizione 1964 della Targa Florio a scrivere la parola fine del romanzo ATS e a chiudere quella bella e sfortunata storia scritta da un manipolo di cultori dello sport, della velocità, della tecnica e della bellezza applicata all’automobile.