Due i successi di classe per la RO racing al Rally della Val d’Orcia

Due vittorie di classe, con Mattonen e Giulia Taglienti e con Luca Santoro e Doriano Maini, per i colori della scuderia RO racing al Rally della Val d’Orcia, prima sfida del Campionato italiano rally terra. Ritiro per Sergio Farris e Rosario Merendino, in Spagna, al Rally Costa Brava, prima uscita stagionale del Campionato europeo rally auto storiche.

Bottino pieno in Toscana per i portacolori della scuderia RO racing nel primo appuntamento del Campionato italiano rally terra. Sugli sterrati della provincia di Siena, alla quattordicesima edizione del Rally della Val d’Orcia, gli alfieri del sodalizio siciliano hanno centrato due vittorie di classe. A Radicofani, Mattonen e Giulia Taglienti, a bordo della loro Mitsubishi Lancer Evo X, gommata Mrf Tyres, dopo il successo in campionato nella scorsa stagione, hanno ribadito il loro primato nella classe N4. In classe R4 Luca Santoro e Doriano Maini hanno condotto alla vittoria la loro Mitsubishi Lancer Evo IX. In classe N3, quarta posizione finale per Renault Clio condotta da Williams Cerroni e Davide Bragalia che hanno provato a rimontare in classifica, dopo aver rimediato un ritardo pesante nelle prime battute di gara.

Da dimenticare la loro prima partecipazione al Rally Costa Brava, gara di apertura del Campionato europeo rally auto storiche, per Sergio Farris e Rosario Merendino. L’equipaggio sardo siculo ha da subito accusato noie al motore della propria Porsche 911 RSR del Quarto Raggruppamento e ha preferito non prendere il via nella seconda tappa della gara spagnola.

Buon compleanno, Paola De Martini

Buon compleanno Giovanni Battista Farina, dal 1961 Giovanni Battista Pininfarina 

(Cortanze2 novembre 1893 – Losanna3 aprile 1966), è stato un imprenditore e carrozziere italiano, fondatore della Società Anonima Carrozzeria Pinin Farina.

Decimo degli undici figli di Giuseppe e Giacinta Vigna, il suo soprannome Pinìn (ovvero “Giuseppino” in piemontese) si riferiva alla sua somiglianza con il padre. La famiglia Farina è di origini astigiane e si era trasferita da Cortanze a Torino, sul finire del XIX secolo, a causa della grave crisi economica di quegli anni, con la speranza di trovare miglior fortuna all’ombra della Mole. Grazie alle esperienze acquisite nella terra d’origine, di antiche tradizioni vitivinicole, unitamente alla facilità di far giungere la merce a Torino tramite la nuova tranvia Asti-Cortanze, Giuseppe aveva intrapreso il commercio al dettaglio di vino, aprendo una bottiglieria.

Dopo aver frequentato le elementari, nel 1906 Pinìn iniziò a lavorare nella piccola carrozzeria che il fratello maggiore Giovanni aveva aperto in quell’anno, formandosi come abile carrozziere e presto divenendo alter ego del fratello, con ampia autonomia decisionale all’interno dell’azienda, fino ad assumere la direzione degli Stabilimenti Farina nel 1928.

Nel 1930, grazie all’ingente finanziamento concesso da una facoltosa zia della moglie, ebbe l’occasione di mettersi in proprio e fondò la Società Anonima Carrozzeria Pinin Farina, insieme ad altri soci minoritari, tra i quali Vincenzo Lancia e Gaspare Bona, che sarebbe divenuta in seguito la Carrozzeria Pininfarina. Fin dalla sua fondazione, la casa automobilistica Lancia era cliente degli Stabilimenti Farina e nei 20 anni di collaborazione era nato tra Vincenzo Lancia e Battista Farina uno speciale rapporto di amicizia e reciproca stima, soprattutto basato sulla grande passione per le innovazioni tecniche che animava entrambi.

Per un decennio Battista Farina lavorò quasi esclusivamente per la Lancia, realizzando prototipi, speciali e piccole serie, soprattutto su autotelai “Augusta“, “Astura” e “Aprilia“.

Dopo la lunga parentesi bellica, l’attività riprese e, a partire dagli inizi degli anni cinquanta, conobbe un successo sempre crescente, anche per merito del figlio Sergio e del genero Renzo Carli, marito della figlia Gianna, che Pinin aveva associati alla conduzione dell’azienda. Nello stesso periodo si svolse il rapido declino della Stabilimenti Farina che chiuse i battenti nel 1953, mentre le maestranze furono assorbite dalla Pininfarina

Nel 1959 ridimensionò ulteriormente il suo ruolo aziendale, decidendo di partire per un lungo viaggio di piacere e studio, nel quale si dedicò principalmente alla sua passione per l’arte che ora aveva finalmente l’occasione di compiutamente soddisfare. Si trattò di un viaggio intorno al mondo di 83.000 km che effettuò in compagnia dell’amico e consigliere Giovanni Canestrini, decano del giornalismo automobilistico italiano. Come scrisse Canestrini sul Corriere della Sera, quella fu l’occasione nella quale Pinin Farina si rese conto della sua enorme popolarità mondiale. Ad ogni tappa del viaggio, infatti, venivano prontamente organizzati ricevimenti per degnamente onorare il carrozziere in transito, partecipati dalle autorità e dai più importanti nomi del settore industriale del Paese ospitante.[3]

Al suo ritorno decise di ritagliarsi solamente il ruolo di supervisore, in qualità di presidente, lasciando la direzione aziendale completamente nelle mani del figlio e del genero che nominò amministratori delegati il 27 aprile 1961. Nello stesso anno Giovanni Battista Farina cambiò ufficialmente il suo cognome in “Pininfarina”, quando la sua richiesta fu autorizzata da un decreto del presidente della repubblica Giovanni Gronchi, su proposta del Ministro di grazia e giustizia Guido Gonella.

Negli ultimi anni di vita, Pinin divise il suo tempo tra brevi apparizioni di azienda e lunghe scorribande per visitare opere artistiche, alla guida della sua Lancia Florida II, una dream car realizzata nel 1957 per il Concorso di eleganza di Cortina d’Ampezzo, che Pinin volle poi tenere come auto personale. Spesso diceva: «Mi torna in mente quel costruttore di Detroit, Olds, che viveva e dormiva nella sua automobile. E io abito nella mia Florida».

L’ultima creazione supervisionata da Pinin e realizzata su disegno del suo collaboratore storico Franco Martinengo e di Aldo Brovarone, fu l’Alfa Romeo “Duetto”, esposta la prima volta al Salone di Ginevra nel marzo 1966. Morì poche settimane dopo in una clinica di Losanna, per un male incurabile.

Buon compleanno Stéphane Jean-Marc Sarrazin 

(Alès2 novembre 1975) è un pilota automobilistico francese. Da anni specializzato nelle corse del genere endurance, si è dedicato anche ai rally e ha disputato anche un Gran Premio di Formula 1.

Sarrazin ha iniziato la sua carriera col karting dove ha vinto due titoli di campione francese, per poi passare a guidare le monoposto. Nel 1997 disputa il campionato francese di Formula 3 e nonostante corra per un team dal budget ridotto chiude al 2º posto in classifica piloti. Questo risultato gli consente di approdare nel 1998 in Formula 3000 con la squadra Apomatox, junior team della Prost Grand Prix di F1, del quale diviene pilota collaudatore. Nel 1999, termina al 5º posto il campionato di Formula 3000, mentre nei due anni seguenti disputa solo alcune gare.

Nel 2001 viene ingaggiato come pilota ufficiale Chrysler, per guidare nella 24 Ore di Le Mans una delle sue vetture LMP progettate dalla Dallara, ma in gara è costretto al ritiro. L’anno seguente con la stessa vettura ma motorizzata Judd schierata dalla scuderia Oreca, conclude al 6º posto la classica maratona automobilistica francese. Nel 2003 corre per il team Pescarolo Sport alcune gare del Campionato FIA Sportcar ottenendo una vittoria e 2 secondi posti; corre anche a Le Mans chiudendo allo 8º posto assoluto.

Sarrazin fa il suo debutto nei rally nel 2001: nella sua prima corsa, il Rallye du Var, arriva 1º nella categoria Gruppo N al volante di una Mitsubishi Lancer.

Nel 2004, passa ai rally a tempo pieno, disputa il campionato nazionale francese di rally alla guida di una Subaru Impreza vincendolo al primo tentativo e nel 2005 partecipa al campionato mondiale per la squadra ufficiale Subaru, ottenendo come miglior risultato un 4º posto alla Rally di Catalogna. Nello stesso anno corre anche per l’Aston Martin, guidando la DBR9 di classe GT1 alla 24 Ore di Le Mans, nella quale termina al 9º posto assoluto.

Nel 2006 diventa pilota ufficiale Aston Martin e disputa il campionato American Le Mans Series in classe GT1, nel quale vince 3 gare e ottiene 6 piazzamenti a podio, che gli valgono il 2º posto il classifica piloti.

Nel 2007 viene ingaggiato dal team Peugeot Sport come pilota del nuovo sport prototipo Peugeot 908 HDi FAP, alla guida di questa vettura vince il campionato Le Mans Series 2007 ottenendo 3 vittorie e 2 podi; alla 24 Ore di Le Mans 2007 stabilisce la pole position, ma in gara arriva 2º in coppia con Sébastien Bourdais e Pedro Lamy.

Nel 2008 termina 4º in classifica piloti LMS ottenendo 2 vittorie, arriva 2º alla Petit Le Mans con la Peugeot 908; disputa anche la 24 Ore di Spa al volante di una Maserati MC12 vincendo la gara.

Nel 2009 partecipa al Rally di Monte Carlo chiudendo al 3º posto alla guida di una Peugeot 207 S2000, arriva 2º alla 12 Ore di Sebring, alla 24 Ore di Le Mans 2009 conquista nuovamente la pole position (la 3ª consecutiva in tre anni) e in gara termina al 2º posto; vince infine la Petit Le Mans di Road Atlanta insieme a Franck Montagny.

Nel 2010 vince il Campionato LMS pilotando la Peugeot 908 del team Oreca e rivince la Petit Le Mans assieme a Montagny e Lamy con la squadra ufficiale Peugeot.

Nel 2011 ottiene un terzo assoluto a Le Mans con i suoi compagni di equipaggio, Franck Montagny e Nicolas Minassian, a bordo della Peugeot 908.

Nel 2012, dopo il ritiro della Peugeot dalle competizioni, esordisce nel nuovo Mondiale Endurance nella classe LMP2. A Le Mans gareggia di nuovo nella LMP1, con la Toyota TS030, esordiente in quella gara, insieme a Anthony Davidson e Sébastien Buemi. All’ottantaduesimo giro sono però costretti al ritiro.

Nel 2013 la Toyota lo riconferma e partecipa a tutte le otto gare di campionato, con gli stessi compagni del 2012. A Le Mans sono secondi assoluti, mentre ottengono l’unica vittoria stagionale nell’ultima gara di campionato in Bahrein. A fine campionato sono terzi con 106,25 punti.

Nel 2014 corre ancora nel WEC con la Toyota, ma cambia equipaggio, e i suoi compagni sono ora Alexander Wurz e Kazuki Nakajima. Nella prima gara a Silverstone sono secondi, dietro i loro compagni di squadra Buemi, Davidson e Lapierre, dando alla Toyota una fantastica doppietta, mentre a Spa sono terzi. A Le Mans partono in pole e dominano buona parte della gara. Durante la notte sono però costretti al ritiro per un guasto elettrico. Dopo un deludente sesto posto ad Austin, tornano sul podio alla 6 Ore del Fuji, alla spalle di Buemi e Davidson, replicando così la doppietta di Silverstone.

Buon compleanno Ayrton, idolo per sempre

Il pilota brasiliano, idolo di generazione e tre volte campione del mondo, compirebbe 62 anni

SAN PAOLO DEL BRASILE, 21 marzo – Oggi Ayrton Senna da Silva festeggerebbe il sessantaduesimo compleanno. Era infatti nato a San Paolo del Brasile il 21 marzo 1960 e morto all’ospedale Maggiore di Bologna1º maggio 1994. È stato tre volte campione del mondo di Formula 1 nel 19881990 e 1991.

Soprannominato Magic, è considerato da molti il più forte pilota di Formula 1 di tutti i tempi; coniugava la capacità di portare al limite la sua monoposto con una grande sensibilità nella messa a punto e nella scelta degli pneumatici. Morì in seguito ad un tragico incidente nel Gran Premio di San Marino del 1994, divenendo l’unico campione del mondo a perire durante lo svolgimento di una gara di Formula 1 (Jochen Rindt, che perse anch’egli la vita durante un weekend di gara, perì nelle prove del G.P. di Monza del 1970 diventando iridato post mortem). Particolarmente veloce sul giro in qualifica, Senna ha detenuto il record assoluto di pole position dal 1989 al 2006, superato soltanto da Michael Schumacher e Lewis Hamilton[6], ed è il quinto pilota in classifica per numero di vittorie (41) dietro a Michael Schumacher (91), Lewis Hamilton (73), Sebastian Vettel (52) e Alain Prost (51).

Figlio di Milton Da Silva e di Neide Senna, la cui famiglia era di origine in parte napoletana ed in parte toscana. Nato in una famiglia benestante, Senna ebbe la possibilità di avvicinarsi precocemente al mondo dell’automobilismo, cominciando nel 1973 a gareggiare nei kart a tredici anni con un Parilla 100 cm³ a Interlagos grazie al primo istruttore Lucio Pascual (detto Tsche), vincendo all’esordio e conquistando nello stesso anno il Campionato Junior. Nel 1977 e nel 1978 vinse il Campionato Sudamericano di categoria e dal 1978 per quattro volte consecutive quello brasiliano. Sbarcato in Italia, a Milano, con i colori della Dap fu protagonista dei campionati mondiali del 1979 e del 1980, sfiorando entrambe le volte il titolo.

Nel novembre 1980 Ayrton si trasferì in Gran Bretagna. Conosceva già Chico Serra, che viveva nell’isola da tre anni e conosceva l’inglese. Serra presentò il giovane pilota a Ralph Firman, proprietario della scuderia Van Diemen e, dopo un test, riuscì ad ottenere un ingaggio. Senna prese casa con la moglie a Norwich, nel Norfolk. Nel 1981 esordì in Formula Ford 1600, disputando il campionato britannico RAC e il Townsend-Thoresen: li vinse entrambi con 12 vittorie, 3 pole e 10 giri veloci su 19 gare. L’anno seguente passò alla Formula Ford 2000, disputando sia il campionato britannico Pace British sia l’Europeo EFDA: li vinse entrambi con 21 vittorie, 15 pole e 22 giri veloci su 29 gare. A fine stagione esordì nell’ultima prova del difficile Campionato Britannico di Formula 3 conquistando pole, vittoria e giro più veloce.

Nel 1983 gareggiò nel Campionato Britannico F3 con una Ralt-Toyota del team West Surrey Racing e lo vinse con 12 vittorie, 15 pole e 13 giri veloci su 20 gare. A fine stagione partecipò alla prestigiosa gara internazionale di F3 di Macao nella quale si confrontano tutti i più forti piloti della categoria: partì dalla pole, dominò entrambe le manche e segnò il giro veloce. È di quell’anno la decisione di adottare il cognome materno Senna, meno comune del Da Silva usato sino all’anno precedente.

E da quel momento inizia il grande volo verso 161 Gran Premi disputati, 614 punti conquistati, 80 podi scalati, 19 giri veloci, 65 pole position, 41 vittorie. E tre titoli mondiali

Ayrton Senna, un decennio vissuto vittoriosamente

L’epopea del pilota brasiliano nella massima formula con sfide al fulmicotone con Prost e Mansell, imbattibile sotto la pioggia. Testo elaborato da Tommaso M. Valinotti

SAN PAOLO DEL BRASILE, 21 marzo – Ayrton Senna è stato uno dei più grandi piloti della storia delle corse automobilistiche. Dopo aver dominato la scena della formula minori inglesi dal 1980 al 1983 (dopo essere stato protagonista con i kart e nelle formule sudamericane) nel 1984 entrò in Formula 1 essendone protagonista per dieci anni.

1984. Ayrton, subito uomo della pioggia. Dopo aver svolto una giornata di test nel 1983 con una Williams FW08C messagli a disposizione da Frank Williams, curioso di vedere all’opera questo 23enne brasiliano che in Inghilterra aveva vinto tutto, più propedeutico a un ingaggio nella massima serie fu il test che Ayrton effettuò a Silverstone con la McLaren che lo mise a confronto con Martin Brundle e Stefan Bellof. Ayrton, però, era in stretta trattativa con Bernie Ecclestone, patron della Brabham, per sostituire Riccardo Patrese, in procinto di passare all’Alfa Romeo. La trattiva fu bloccata dallo sponsor Parmalat che voleva un pilota italiano sulla Brabham. Senna dirottò i suoi interessi sulla Toleman ottenendo un ingaggio di 100mila sterline.

Esordì in formula 1 al Gran Premio del Brasile e dovette ritirarsi. Ma nella stagione dimostrò tutto il suo valore “rischiando” di vincere il Gran Premio di Montecarlo, fermato anzi tempo dalla bandiera rossa di Jacky Ickx mentre sotto il diluvio era in piena rimonta su Alain Prost che ebbe così la vittoria servita su un piatto d’argento. Il francese non avrebbe potuto resistere alla furia Ayrton, più veloce di sei secondi al giro. Il destino vendicò il brasiliano facendo perdere a fine anno il mondiale a Prost proprio per i punti mancanti per l’interruzione del Gran Premio di Monaco, nel quale fu assegnato solo metà punteggio. È l’inizio di un’antipatia storica fra i due piloti.  In quella stagione chiuse terzo in Inghilterra e in Portogallo e finì nono nel mondiale, subendo anche l’unica mancata qualificazione della sua carriera, sulla pista di Imola, dove avrebbe trovato la morte, dieci anni dopo. La maledizione del destino.

1985/1987 gli anni delle prime vittorie sulla Lotus. Già l’anno successivo Senna entrò nelle mire della Lotus, ormai orfana di Colin Chapman, squadra con la quale resterà tre anni. Con la 97T a motore Renault fu sfortunato in Brasile all’esordio stagionale, ma subito dopo vincente in Portogallo, corso nuovamente sotto una pioggia battente, che vide Senna partire dalla pole position (la prima della sua carriera), chiudere e con un minuto di vantaggio sul secondo classificato, Michele Alboreto e doppiare tutti gli altri. Sembrava poter fare il bis a Imola (ancora in pole position), dove rimase in testa fino a quattro giri dalla fine prima di fermarsi senza benzina. La Lotus non era una vettura competitiva e anche “Magic” Senna faticò a portarla nelle posizioni migliori della classifica, ma si consolò conquistando numerose pole position, fra le quali quella a Montecarlo (terza consecutiva). Nella seconda parte della stagione il miglioramento della Lotus diede a Senna quattro podi (Austria, Olanda, Italia, e Gran Bretagna) e una seconda vittoria in un bagnatissimo Gran Premio del Belgio a Spa-Francorchamps. Senna chiuse la stagione al quarto della classifica mondiale.  

Nel 1986 la Lotus ingaggiò come seconda guida il modesto Johnny Dumfries, anche se Senna caldeggiò l’arrivo del connazionale Mauricio Gugelmin, non voluto dallo sponsor John Player Special che voleva un driver britannico. Finalmente vide l’arrivo nella gara di apertura, il suo Gran Premio del Brasile, dove partì in pole position, e chiuse secondo dietro il connazionale Nelson Piquet. Vittoria in volata di Senna nel Gran Premio di Spagna a Jerez de la Frontera precedendo di 14 millesimi Nigel Mansell e fu così che con 15 punti andò in testa al mondiale. Ancora una volta la Lotus-Renault era in condizioni di inferiorità rispetto alla concorrenza. Senna riuscì comunque a mettersi in mostra ottenendo otto pole position, che si stavano rivelando la sua specialità, salendo sul podio otto volte vincendo la gara sul difficile circuito cittadino di Detroit, partendo dalla pole position e terminando nuovamente la stagione al quarto posto.

Il 1987 fu vissuto come una rivoluzione in Lotus, abbandonata dallo sponsor storico John Player Special sostituita dalla Camel, che portò il colore giallo sulle vetture di Hethel, e dal motorista Renault, ritirato dalla Formula 1, il cui posto fu preso dalla Honda, che pretese come seconda guida il debuttante Satoru Nakajima. Ennesimo ritiro in Brasile, secondo posto a Imola, e ritiro dopo un contatto con Mansell a Spa Francorchamps, con l’inglese che si recò nel box Lotus per aggiustare i conti con il brasiliano, a suo dire responsabile del contatto. A questo episodio fecero seguito la prima delle sei vittorie consecutive a Montecarlo e il bis del successo a Detroit. Benché la Lotus fosse decisamente inferiore alla Williams, Senna riuscì a mantenerla in lizza per il mondiale e chiudere terzo nel campionato, nonostante nel finale di stagione fosse stato annunciato il passaggio di Ayrton alla McLaren.

1988. Il pilota più forte, Ayrton Senna, nella squadra più forte: la McLaren, motorizzata Honda. Anzi la coppia di piloti più forti, visto che a fianco di Ayrton c’era Alain Prost. In quella stagione i piloti McLaren vinceranno 15 delle 16 gare a calendario, lasciando il solo Gran Premio d’Italia a Gerard Berger.

L’inizio non è dei migliori, con Senna squalificato in Brasile per aver utilizzato il muletto in prova, la vittoria a San Marino, quindi il ritiro a Montecarlo, forse il più grave errore nella carriera di Senna in Formula 1. Dopo aver siglato la pole position con l’abissale vantaggio di 1”427 sul compagno di squadra Prost, scattò al comando al semaforo verde e per 66 giri non fu avvicinato da nessuno. Con quasi un minuto di vantaggio su Prost, al 67° giro Ayrton ebbe un calo di concentrazione e andò a sbattere alla curva del Portier, dovendosi ritirare lasciando la vittoria al poco amato rivale. Dopo fu secondo in Messico, quindi conquistò il successo in Canada e negli Stati Uniti, fu secondo in Francia, vinse i successivi quattro Gran Premi (sei vittorie in sette gare), fu classificato decimo al Gran Premio d’Italia, gara in cui aveva segnato la pole position, a seguito di una collisione con il doppiato Schlesser (che prese a pugni sul casco). L’apice della tensione fra Senna a Prost fu raggiunto al successivo Gran Premio del Portogallo quando Senna spinse contro il muretto box Alain Prost nel tentativo di evitare il sorpasso, cosa che al francese riuscì ugualmente vincendo il gran premio. Il professor Prost non lesinò accuse al compagno. Il campionato si sarebbe deciso nella gara finale a Suzuka, pista di proprietà della Honda. Benché secondo in graduatoria, Senna godeva dei favori del pronostico, per il gioco degli scarti in classifica. Autore della sua dodicesima pole position stagionale, Ayrton ebbe un’esitazione in partenza e venne risucchiato dal gruppo. Impiegò appena 28 giri per tornare al comando, superare Prost in pieno rettilineo e andare a conquistare la sua ottava vittoria stagionale. Nel successivo Gran Premio di Australia segnò ancora la pole position, e chiuse secondo conquistando il suo primo titolo iridato.

Il 1989 iniziò con lo stesso ritmo dell’annata precedente. Senna vinse tre delle prime quattro gare (11° nel sempre poco fortunato Brasile) andando sul gradino più alto del podio a Imola, Monaco e in Messico. Al Gran Premio di San Marino la rivalità fra Senna e Prost esplose. Al secondo via della gara, dopo la sospensione per l’incidente di Berger, Senna infranse il patto di non superarsi fra compagni di squadra al primo giro e passò dopo poche curve Prost andando a vincere. Problemi di affidabilità rallentarono Senna nelle successive gare che ritornò alla vittoria solo al Gran Premio di Germania di fine luglio, seguito dal secondo posto Ungheria e la vittoria in Belgio. Due ritiri in Italia e Portogallo costringevano Senna a vincere tutte le successive tre gare se avesse voluto mantenere il titolo di campione del mondo. In Spagna Senna volò via dominando dal semaforo verde alla bandiera a scacchi. Nel successivo Gran Premio del Giappone Senna, in pole, venne superato immediatamente da Prost che sembrava potersi allontanare indisturbato. Ma Senna non era il tipo da demordere. Lo raggiunse e al 46° giro attacco il francese al Casio Triangle. Le due McLaren si agganciarono finendo nella via di fuga. Prost pensò di aver così vinto il titolo e scese dalla vettura pronto a festeggiare. Senna, invece, rimase nell’abitacolo e fu aiutato a ripartire dai commissari di percorso. Nonostante una sosta ai box per sostituire il musetto danneggiato, Senna raggiunse e superò Alessandro Nannini andando a vincere. A fine gara i commissari sportivi, istigati dal presidente della FISA, il subdolo francese Jean Marie Balestre, smaccatamente a favore di Prost, squalificarono Senna incoronando Prost Campione del Mondo. La McLaren prese le difese di Senna (Prost aveva ormai firmato per la Ferrari) e fece ricorso. Ma la federazione, in mano al potente e poco onesto Balestre respinse l’appello e comminò a Senna una multa di 100.000 dollari accusandolo di guida pericolosa in riferimento ad altri episodi accaduti durante la stagione. Senna considerò pubblicamente l’ipotesi di ritirarsi dalle corse e per queste dichiarazioni gli venne sospesa la Super Licenza per i successivi sei mesi.

Nel 1990, poco prima dell’inizio della stagione Senna si scusò con Balestre via lettera e la sospensione della licenza venne revocata. Senna ebbe come compagno di squadra il più gestibile Gerard Berger, vinse il Gran Premio di Phoenix di inizio stagione e iniziò un duello sul filo del punteggio con il ferrarista, rivale di sempre, Alain Prost. A due gare dal termine, nuovamente a Suzuka, il brasiliano aveva nove punti di vantaggio sul francese. Se Prost non avesse marcato punti Senna sarebbe diventato per la seconda volta campione del mondo. Senna stabilì il miglior tempo in qualifica, ma al termine delle prove Senna chiese ai commissari sportivi di spostare nuovamente la pole sul lato pulito della pista, annullando la decisione precedente. La richiesta venne rigettata, Ayrton accusò Balestre di lavorare a favore del rivale. Prost poté scattare meglio al semaforo verde, superare Senna e prendere il comando della gara, ma alla prima curva Senna non rallento minimamente, speronò la Ferrari del francese a 270 km/h costringendo entrambi al ritiro. Questa volta la Federazione non intervenne e Senna fu campione del mondo. A caldo commentò cinicamente: “A volte le gare finiscono a sei giri dalla fine (come accaduto l’anno precedente) a volte alla prima curva”. Anni dopo ammise di aver intenzionalmente speronato Prost in risposta all’atteggiamento assunto da Jean Marie Balestre, che aveva smaccatamente sostenuto Prost.

Il 1991 ebbe un inizio trionfale per Ayrton Senna che si aggiudicò la vittoria nei primi quattro Gran Premi stagionali, fra i quali anche quello del Brasile e fu la prima volta. Per vincere in Brasile Senna dovette compiere un autentico miracolo, in quanto dal 60° giro in avanti la sua McLaren MP4 perse via via tutte le marce rimanendo solo con la sesta, svenendo dopo il traguardo a causa dell’intenso stress fisico. L’inizio di stagione non fu positivo per gli avversari, afflitti da problemi tecnici, sicché Ayrton poté prendere il largo in classifica. Dopo il difficile inizio Nigel Mansell, su Williams, iniziò a recuperare su Senna, divenendo il pilota da battere, ottenendo tre vittorie estive consecutive. Il successo di Senna in Ungheria e quello successivo in Belgio, diede fiato alle aspirazioni di Senna che si presentò a Suzuka in netto vantaggio sul britannico obbligato a vincere ad ogni costo. Dopo dieci giri Mansell uscì di pista e si dovette ritirare. A quel punto Senna fece buona guardia alla leadership del compagno Berger, rinunciando ad attaccarlo, incoronandosi, tuttavia, per la terza volta campione del mondo, andando poi a vincere l’ultimo Gran Premio stagionale in Australia. In quella stagione rimase storico il passaggio offerto da Mansell al termine del Gran Premio di Gran Bretagna a Senna che rimasto senza benzina all’ultimo giro venendo classificato quarto.

Il 1992 vide Senna e la McLaren arrendersi allo strapotere della Williams, complici anche problemi tecnici (tardiva introduzione del cambio al volante, passaggio al motore Honda V12) che costrinsero Senna al ritiro in tre delle prime cinque gare, prima di conquistare l’abituale vittoria Montecarlo, divenuto suo circuito privato. Oltre a Montecarlo Senna vinse in quella stagione solo in Ungheria e Italia chiudendo al quarto posto nella classifica mondiale. In quella annata Senna trovò un nuovo avversario con cui confrontarsi in Michael Schumacher, non ancora astro nascente della Formula 1. In Brasile il tedesco accusò Ayrton di averlo ostacolato nel corso della gara, anche se il brasiliano soggetto a continui rallentamenti per problemi elettronici al cambio. In Francia Schumacher tamponò Senna al primo giro costringendolo al ritiro. La gara fu interrotta e Senna, già cambiatosi, andò al box della Benetton a spiegare al tedesco i comportamenti da tenere nei confronti con la stampa. A Hockenheim i due si sfiorarono più volte con le ruote nel corso della gara, al termine della gara rischiarono di affrontarsi fisicamente. La stagione 1992 non fu positiva per Senna e complice il fatto che la Honda avesse deciso di lasciare la Formula 1 diedero spazio alla voci che Ayrton volesse lasciare il team di Woking, e fosse un possibile passaggio alla Ferrari (ovviamente bloccato da Prost) o alla Formula Cart, dopo che il brasiliano sostenne un positivo test con il team Penske in Arizona.

Per il 1993 Ayrton rimase in McLaren con un contratto a gettone, ovvero avrebbe deciso di gara in gara se correre o meno. I risultati gli diedero (in parte) ragione, visto che a fine stagione fu secondo in campionato. La McLaren, dopo aver oscillato fra i motori Renault e i Lamborghini scelse di usare i Ford con Michael Andretti al posto di Berger. Nonostante l’inferiorità della McLaren MP4/8 Senna fu secondo in Sud Africa, vinse nuovamente in Brasile e il Gran Premio d’Europa a Donington (gara straordinaria sotto la pioggia, quando effettuò quattro sorpassi nel solo primo giro andando a vincere la gara con oltre un minuto di vantaggio), si ritirò a San Marino, secondo in Spagna, vinse a Montecarlo, manco a dirlo. Poi dovette cedere allo strapotere della Williams di Prost, andando a vincere le ultime gare della stagione a Suzuka e Adelaide, quando era troppo tardi. In Australia Senna compì un gesto clamoroso, abbracciandosi e complimentandosi con Prost per la vittoria in campionato, anche se in realtà stava trattando per sostituirlo alla Williams.

Nel 1994 il sedile della Williams, in quel momento la miglior macchina in pista, è reso libero dalla decisione di Alain Prost di ritirarsi a vita privata. La novità regolamentare dell’anno è il divieto di tutti i dispositivi elettronici (sospensioni attive e controllo di attrazione) che erano stati i punti di forza della Williams negli anni precedenti). Con il nuovo regolamento la Williams non è più l’auto da battere, ha un abitacolo troppo stretto in cui perfino Senna fatica a entrare, e peggio ancora è difficile da guidare. 

Ayrton ci lavora e nelle prime due gare Senna centra la pole position, più per meriti personali che della Williams FW16, ma in gara è costretto al ritiro. Anche al Gran Premio di San Marino a Imola, Senna centra la pole position, la terza consecutiva, a dimostrazione dell’impegno personale e quanto lavori duramente per sviluppare la vettura. Il Gran Premio di San Marino inizia il venerdì con il grave incidente a Rubens Barrichello, senza gravi conseguenze per il brasiliano, ma il sabato le prove sono funestate dall’incidente alla Villeneuve di Roland Ratzenberger, alla sua prima stagione in Formula 1. Ayrton Senna fu notevolmente colpito dal fatto e la domenica prende il via con la bandiera austriaca in abitacolo, sperando di sventolarla sul podio. La gara inizia con l’incidente fra JJ Letho e Pedro Lamy e in quel fine settimana maledetto i rottami delle vetture volano oltre le reti ferendo alcuni spettatori. La corsa viene neutralizzata in regime di safety car che torna ai box dopo il quinto giro. Alla ripartenza, al settimo giro, la Williams di Ayrton Senna si schianta a fortissima velocità alla curva del Tamburello per il cedimento del piantone dello sterzo, modificato nella notte su richiesta di Ayrton, che nel girare il volante toccava con le nocche l’abitacolo e non riusciva a leggere la strumentazione. Questa rottura rende la Williams ingovernabile e Senna non può curvare ma solo cercare di ridurre frenando a fondo la velocità

Sono le 14.17 di domenica 1° Maggio 1994. Il puntone della sospensione destra si spezza nell’urto e penetra nella visiera del casco del pilota provocandone un esteso trauma cranico, che viene trasportato in elicottero all’Ospedale Maggiore di Bologna, dove Senna spira alle 18.40 dello stesso giorno. L’autopsia sul corpo di Senna stabilirà poi che, oltre il trauma cranico, il pilota non aveva subito danni fisici di particolare gravità.

Senna fu sepolto il 5 maggio nel cimitero di Morumbi, a San Paolo. Il 26 aprile del 1997 è stato eretto nella curva del Tamburello un monumento in memoria di Ayrton Senna.

Una carriera formidabile. Ayrton Senna ha preso parte a 162 Gran Premi, qualificandosi 161 volte. Non si è qualificato una volta sola, nel 1984 con la Toleman, sulla stessa pista di Imola dove dieci anni dopo avrebbe trovato la morte. Ha vinto 41 Gran Premi (35 in Mc Laren e 6 in Lotus) ottenuto 65 pole position (46 in McLaren, 16 in Lotus e 3 in Williams) 19 giri più veloci (15 in McLaren, 3 in Lotus, 1 in Toleman al suo primo anno di gare) centrando 7 en-plein di pole/giro più veloce e vittoria (6 in McLaren e 1 in Lotus). Nel corso della carriera ha ottenuto 614 punti, 610 dei quali validi, è partito 87 volte in prima fila (54,03% delle partenze) è andato a punti 96 volte (59,62%) salendo sul podio 80 volte, ovvero poco meno della metà delle gare disputate (49,68%). È stato al comando per 13672 chilometri, pari a 2931 giri di corsa.

Nelle sue dieci stagioni complete in Formula 1 Ayrton Senna si è sempre imposto sul compagno di squadra ottenendo più punti, salvo nel 1989 quando fu battuto per 16 punti di Prost, e parzialmente l’anno precedente, quando Prost registrò quattro punti in più, ma per il gioco degli scarti dovette cedere ad Ayrton la corona iridata.

Origini italiane, amato dalle donne. Nato a San Paolo del Brasile il 21 marzo 1960 in una famiglia di ottime condizioni economiche, figlio Milton Da Silva e Neide Senna, che vantava nonni italiani; i materni provenienti da Porcari (Lucca) mentre quelli paterni da Siculiana (Agrigento) la nonna e Scisiano (Napoli) il nonno. Nel 1981 Ayrton Senna si sposò con la compagna di scuola Lilian De Vasconcelos, dalla quale divorzio dopo appena otto mesi. In seguito ebbe vari flirt con modelle brasiliane quali XuXa e Adriane Galisteu, la top model americana Carlo Alt e Cristina Pensa. Sportivissimo, praticava corsa, tennis, bici, nuoto e jet-ski, oltre a dedicare molto tempo alla preparazione fisica era un grande appassionato di aeromodellismo e di volo, al punto di essere ammesso a volare sul caccia biposto Mirage III dell’aviazione brasiliana. Estremamente religioso, portava sempre con se la Bibbia e in un’intervista dichiarò di aver visto Dio accanto a se alla partenza del Gran Premio del Giappone del 1988. Sulla sua tomba nel cimitero di Morumbi è scolpita una citazione dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Romani: “Niente mi può separare dall’amore di Dio”.

Nel corso della sua carriera Ayrton ha devoluto forti somme in beneficenza, anche se questa sua attività è diventata pubblica solo dopo la sua morte. A inizio 1994 confidò alla sorella Viviane la volontà di creare una fondazione che aiutasse i bambini poveri del Brasile, che divenne nel novembre 1994 la Fondazione Ayrton Senna, senza fini di lucro, tuttora operante.

Buon compleanno Séb

Il recordman dei rally festeggia oggi 48 anni. Di gloria. A cura di Tommaso M. Valinotti

HAGENAU (Francia), 26 febbraio – Sébastien Loeb è nato il 26 febbraio 1974 a Hagenau, un comune nel dipartimento del Basso Reno, in Alsazia, ai confini con la Germania. Séb è uno dei piloti più vincenti e completi della storia delle competizioni automobilistiche, avendo vinto nove titoli mondiali piloti consecutivi (dal 2004 al 2012, nessuno ne ha vinti quanto lui) e conquistato 79 vittorie nel Campionato Mondiale Rally, risultando primatista in entrambe le graduatorie, una messe di vittorie che gli hanno valso il soprannome di “Cannibale”. Oltre ai successi nei rally ha ottenuto vittorie nel rallycross, in Turismo e GT, salendo due volte sul podio alla Dakar.

Sébastien Loeb ha disputato 246 rally ottenendo 104 vittorie. L’approccio nel mondo delle gare di Sébastien Loeb al contest Rally Jeunes, alla ricerca di nuovi talenti, mettendosi subito in mostra come uno dei piloti più promettenti, mentre nel 1997 partecipa al Volant Peugeot (che concluderà al sesto posto) iniziando dal Rallye Régional du Florivan con una Peugeot 106 affiancato da Dominque Heinz vincendo la classe N1. L’ultimo rally disputato è stato il Rallye Turkey Marmaris del 2020 concluso al terzo posto con una Hyundai i20 R5, con Daniel Elena. Con il copilota monegasco ha disputato 228 delle sue 246 gare. Già nel secondo anno di attività di attività Loeb-Elena conquistano la prima vittoria assoluta al Rallye National Val d’Agout su Citroën Saxo Kit Car.

Nel mondiale rally Sébastien Loeb ha disputato 180 gare, conquistando 79 vittorie, salendo sul podio 119 volte vincendo 921 prove speciali, siglando 1743 punti, sempre a fianco di Daniel Elena. L’esordio di Loeb-Elena avvenne al Rallye di Catalunya 1999 su Citroën Saxo Kit Car concluso con un incidente. L’ultima gara è stata il Rallye Turkey Marmaris del 2020, che è stata anche l’ultima gara dei due cannibali. La prima vittoria di Loeb-Elena fu l’ADAC Rallye Deutschland del 2002 su Citroën Xsara WRC, mentre l’ultima fu il Catalunya-Costa Daurada del 2018 su Citroën C3 WRC. Nel 1999 Loeb vince il Citroën Trophy; nel 2001 si aggiudica il Campionato Mondiale Junior con una Citroën Saxo WRC e il Campionato Francese Asfalto e il Campionato Francese Terra con una Citroën Xsara WRC.

Fino all’età di quindici anni la passione di Sébastien Loeb era la ginnastica, prima di avvicinarsi ai rally. Ma le sue capacità acrobatiche sono rimaste intatte nel tempo al punto di festeggiare le vittorie mondiali con spettacolari salti mortali.

Buon compleanno Jean, nato per vincere

Il grande stratega francese, attuale presidente della FIA, ha conquistato quattro titoli ridati nei rally con Peugeot e 14 in Formula 1 con Ferrari. Testo curato da Tommaso M. Valinotti

PIERREFORT (Francia), 25 febbraio – Jean Todt è nato a Pierrefort, un piccolo comune nella regione Alvernia-Rodano Alpi, il 25 febbraio di 75 anni fa. Figlio di un medico, appassionato da sempre di motori, durante gli studi si dedicava alla riparazione di vetture insieme a un gruppo di amici. Dopo una brillante carriera da copilota, durata dal 1966 al 1981, ottenendo il titolo mdi vice campione del mondo nel suo ultimo anno di attività, a fianco di Guy Frénquelin, diventa direttore sportivo di Peugeot Talbot Sport, posizione che mantiene dal 1982 al 1993. Conquistando, fra l’altro, due titoli iridati piloti e due titoli iridati costruttori nel 1985 e 1986, quattro volte la Parigi-Dakar, la Pikes Peak Hill Climb (1988), il Trofeo Andros nel 1990, il Campionato Mondiale Sport Prototipi piloti e costruttori del 1992 e due volte la 24 Ore di Le Mans (1992 e 1993).

Dal 1 luglio 1993 diventa direttore sportivo della Scuderia Ferrari centrando otto titoli mondiali Costruttori e sette piloti, carica che mantiene fino al 2007 diventando anche direttore generale della Scuderia Ferrari. Dal 23 ottobre 2009 è presidente della FIA Fédération Internationale de l’Automobile.

Jean Todt ha disputato come navigatore 124 gare, vincendone 15. Prima gara il Rallye International de Picardie del 1966 su Renault 8 Gordini, conquistando la prima vittoria assoluta nel 1968 al Rallye Lyon Charbonnières-Stuttgard Solitude dettando le note sull’Alpine di Jean Claude Andruet. Nel campionato mondiale rally Jean Todt ha disputato 54 gare, vincendone 4: Rally di Polonia nel 1973 (con Achim Warmbold, 124 Abarth), Rally d’Austria nel 1973 (con Achim Warmbold, BMW 2002 Tii), Rally del Marocco nel 1975 (con Hannu Mikkola, Peugeot 504), Rally di Argentina nel 1981 (con Guy Fréquelin, Talbot Sunbeam Lotus), salendo 14 volte sul podio, segnando il miglior tempo in 63 prove speciali. L’esordio di Todt nel mondiale avvenne al Rallye Montecarlo del 1973, chiuso al secondo posto a fianco di Ove Andersson su Alpine Renault. Chiuse la carriera come navigatore al RAC 1981, con Guy Frénquelin su Talbot Sunbeam Lotus, dovendosi fermare anzi tempo per un problema alla pompa benzina, riuscendo a terminare il campionato al secondo posto nella classifica piloti, contribuendo comunque al successo della Talbot Sunbeam Lotus nel campionato mondiale costruttori. In carriera Jean Todt ha dettato le note a piloti del calibro di Guy Chasseuil, Jean Pierre Nicolas, Rauno Aaltonen, Ove Andersson, Hannu Mikkola, Jean-Pierre Beltoise (con cui ha vinto il Tour de France del 1970 su Matra MS 650), Bernard Consten, Jean-François Piot, Achim Warmbold, Jean Guichet, Jean-Claude Lefébvre, Timo Mäkinen e Guy Frénquelin.

Dotato di grandi capacità organizzative e strategiche, a fine 1981 lascia il sedile del navigatore e si occupa della gestione della squadra Talbot, marchio in orbita Peugeot, diventando il trait d’union con la FIA. Nel 1982 crea il reparto Peugeot Talbot Sport, dando il via al progetto Peugeot 205 Turbo 16 per dare l’assalto al mondiale rally, oltre alla Peugeot 405 Turbo 16 (realizzata per la Parigi-Dakar e la Pikes Peak) e Peugeot 905 schierata a Le Mans e nel mondiale Prototipi.

Nel 1984 Jean Todt guida il ritorno nel mondiale rally di Peugeot e nei due anni successivi conquista il titolo mondiale Costruttori e piloti con Timo Salonen (1985) e Juha Kankkunen (1986). L’abolizione del Gruppo B da parte della FIA nel 1987 porta Todt a schierare nei raid le 205 Turbo 16, che allora ottengono un grande riscontro mediatico, in particolare la Parigi-Dakar che la marca del Leone conquista quattro volte consecutivamente dal 1987 al 1990 con Ari Vatanen e Juha Kankkunen, a volte con mosse scenografiche, come decidere quale pilota Peugeot debba vincere la maratona africana del 1989 lanciando la moneta davanti ai riflettori della televisione. Altro terreno di sfida è la gara in salita Pikes Peak Hill Climb, in Colorado, vinta nel 1988 dalla Peugeot di Ari Vatanen.

Dopo questi successi il Gruppo PSA decide di frequentare rally e maratone africane con il marchio Citroën, mentre Peugeot si dedica alla 24 Ore di Le Mans con la 905 che vince nel 1992 e nel 1993, anno in cui il prototipo francese conquista tutti e tre i gradini del podio. È il canto del cigno di Jean Todt in Peugeot, che dal 1 luglio di quell’anno passa al timone della Scuderia Ferrari, debuttando come direttore sportivo nel GP di Francia a Magny Cours con Gerhard Berger solo 14° e Jean Alesi ritirato. La Ferrari di quegli anni è in forte crisi tecnica e dirigenziale e tocca Jean Todt ristrutturare la scuderia per riportare quel titolo piloti che manca dal 1979. Il primo successo di Todt come DS Ferrari arriva al Gran Premio di Germania dell’anno successivo (erano quattro anni che una Ferrari non vinceva un Gran Premio) un’iniezione di fiducia per la squadra, anche se Berger chiude terzo nel mondiale staccatissimo da Michael Schumacher e Demon Hill.

A fine 1995 Jean Todt riesce a ingaggiare Michael Schumacher, fresco del doppio titolo iridato 1994 e 1995, che nel 1996 vince tre gare e chiude terzo nel mondiale. Nel 1997 Schumacher vince cinque gare e lotta alla pari con Jacques Villeneuve, ma viene squalificato per una manovra scorretta in Spagna. Nel 1998 e 1999 il titolo piloti sfugge ancora, ma la Ferrari ottiene il titolo Costruttori. Il titolo piloti arriva l’anno dopo iniziando una striscia di cinque titoli mondiali consecutivi per Schumacher (2000/2004) e sei consecutivi Costruttori (1999/2004), titoli che Todt conquisterà ancora in entrambe le categorie nel 2007 e 2008 con Kimi Raikkonen.

Dal 1 giugno 2004 Jean Todt diventa direttore generale della Ferrari incarico che mantiene fino al 31 dicembre 2007; il 25 ottobre 2006 diventa amministratore delegato della Scuderia Ferrari rimanendo in carica fino al 18 marzo 2008, rimanendo nel consiglio di amministrazione della Casa del Cavallino fino al marzo 2009, quando lascia Maranello dove ha conquistato 106 vittorie nei Gran Premi e 14 titoli mondiali.

Il 23 ottobre 2009 viene eletto presidente della FIA, presidenza riconfermata il 6 dicembre 2013.

40 anni fa: Walter Röhrl vince il mondiale sulla Opel Ascona 400

Doppia vittoria: Röhrl e la Opel Ascona 400 conquistano il leggendario Rally di Monte Carlo del 1982, a cui segue il titolo piloti nel Mondiale Rally. Röhrl fu European Rally Champion nel 1974 con la Opel Ascona A. Buon compleanno: il miglior pilota rally della sua generazione compie 75 anni il 7 marzo. L’uomo: una persona diretta e un’icona del motorsport

Rüsselsheim.  Opel e il rally sono legati da una lunga storia. La Opel Corsa-e Rally elettrica che affronta con piglio deciso le curve nella ADAC Opel e-Rally Cup discende dalle leggendarie auto e dai piloti rally Opel degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Dopo i successi ottenuti con la Opel Kadett GT/E e la Opel Ascona A, la svolta arrivò con la stagione 1982. Walter Röhrl vinse il Mondiale piloti Rally con la Opel Ascona 400 a trazione posteriore, lasciandosi alle spalle forti concorrenti a trazione integrale. Accanto all’incredibile lavoro dei tecnici dell’epoca, fu questo pilota davvero speciale che riuscì a trasformare in realtà il sogno di conquistare il titolo. Adesso, esattamente 40 anni dopo i successi conseguiti sulla Opel Ascona 400, il brillante pilota bavarese può festeggiare un altro importantissimo traguardo. Il 7 marzo 2022 Walter Röhrl – descritto nel testo “Opel Rally Story” come “tattico, combattente e stratega d’acciaio, adorato dai tifosi e temuto dagli avversari” – compirà 75 anni! Da Opel tantissimi “Auguri, Walter Röhrl!”

Gli anni Settanta: i primi successi di Opel e Röhrl

Nato a Ratisbona nel 1947, Walter Röhrl si appassionò allo sport fin da bambino: calcio, canottaggio, sci e infine motorsport. “Rally invece che pista” fu una decisione consapevole per il giovane bavarese. Nel 1973 l’allora 26enne guidava già per Opel e, con Jochen Berger come copilota, conquistò il Campionato Europeo Rally solo un anno dopo. L’auto vincente era una Opel Ascona A ufficiale. L’anno seguente Röhrl e Opel salirono per la prima volta sul gradino più alto del podio in una competizione del mondiale. Il giovane e talentuoso pilota e la storica Casa tedesca si separarono nel 1977; a quel punto nessuno sospettava che il più grande trionfo sportivo comune doveva ancora arrivare.

“Missione Monte Carlo”: vittoria nella gara di apertura del Campionato del Mondo Rally

Walter Röhrl tornò in Opel nel 1982. Jochen Berger era diventato team manager del reparto motorsport Opel e il nuovo navigatore Christian Geistdörfer contribuì in modo decisivo al successo della “Missione Monte Carlo” a bordo della Opel Ascona 400 B. La squadra alle dipendenze dell’ingegnere capo Karl-Heinz Goldstein progettò una vettura rally che viene considerata una delle macchine più affidabili dell’epoca. L’auto aveva trazione posteriore e una potenza di 191 kW/260 CV (ulteriori informazioni sulla vettura alla fine del testo) ed era stata messa a punto alla perfezione, tanto da consentire a Röhrl, artista delle sbandate controllate, di mettere in mostra tutte le sue qualità contro la Audi Quattro a trazione integrale nella 50a edizione del Rally di Monte Carlo.

Nella biografia di Röhrl “Aufschrieb”, Goldstein descrive la riuscita combinazione tra un’auto collaudata e un pilota determinato. “Prima dell’ultima sera aveva un vantaggio di soli 31 secondi su Hannu (Mikkola/Audi). Walter scelse il Col de Madonne come il punto decisivo del rally, e provò e riprovò tutto il giorno. Quella notte si giocò il tutto per tutto e affrontò la Madonne al limite, annientando così la resistenza di Hannu.” Röhrl riuscì a vincere il leggendario rally di Monte Carlo per la seconda volta, la prima con Opel. Il modo perfetto per iniziare la stagione 1982.

Il Rally della Costa d’Avorio: un duello carico di tensione fino alla fine

Nelle prove successive il Campionato del Mondo Rally 1982 si trasformò in un vero thriller, come molti ancora ricordano. Il duello era tra Röhrl sulla Opel Ascona 400 e Michèle Mouton su una Audi Quattro. Le vetture a trazione integrale erano avvantaggiate sulla neve e sullo sterrato, ma Röhrl, stratega dai nervi di acciaio, colse ogni momento per raccogliere più punti possibile con la sua Opel.

Questa strategia si rivelò vincente. La penultima gara del mondiale, il Rally della Costa d’Avorio lungo ben 5.000 chilometri (sicuramente non uno degli eventi preferiti di Walter), decise il mondiale piloti. La Opel Ascona 400 andò come un orologio e riuscì a superare anche le situazioni più proibitive, mentre i concorrenti si dimostrarono meno affidabili. Come commenta Klaus Buhlmann in “The Opel Rally Story”: “L’epilogo di questo mondiale sembrò giusto. Opel conquistò due vittorie, Audi sette. Ma mentre Mikkola e Mouton fallirono totalmente alcune prove, Röhrl andò a punti con la costanza di un computer. Terminò praticamente tutte le gare nelle prime posizioni, un risultato unico nella storia di questo sport, che merita il massimo apprezzamento. Sicuramente il successo di un pilota straordinario, ma anche merito di un’ottima squadra e della Opel Ascona 400, probabilmente l’auto rally più affidabile della sua epoca!” Grazie a questa combinazione unica, Opel e Röhrl/Geistdörfer riuscirono a prevalere sulla Quattro a trazione integrale, conquistando il Mondiale piloti con ben 109 punti.

Diretto, concentrato, vincente: il carattere di Walter Röhrl

Röhrl è famoso per il perfezionismo e per la scarsa diplomazia. Voleva semplicemente dimostrare di essere il miglior pilota rally del mondo, su qualunque auto, e ci è riuscito a bordo della Opel Ascona 400. Mentre gli altri piloti trascorrevano il tempo a chiacchierare o a fumare nel parco assistenza, lui rimaneva in auto a studiare il roadbook per la prova successiva. Walter Röhrl è l’idolo di numerosissimi appassionati di motorsport di tutto il mondo. Uomo di sport al 100%, senza timore di esprimere le proprie opinioni, gode del massimo rispetto di colleghi e rivali. Forse la migliore descrizione è quella fatta da uno dei piloti della sua epoca; scrivendo sulla rivista specializzata britannica “Motor Sport” nel 2002, l’ex copilota e responsabile motorsport di British Leyland, John Davenport raffigurò così Röhrl: “Una combinazione molto speciale di eccezionale talento, concentrazione incessante e brutale sincerità.” Tantissimi auguri per i tuoi 75 anni, Walter Röhrl!

Buon compleanno Markku

Il suo italiano era la gioia dei giornalisti. Il suo motto era Massimum Attack. Fu campione del mondo per appena 11 giorni. A cura di Tommaso M. Valinotti

HELSINKI (Finlandia), 15 febbraio – Markku Allan Alén è nato a Helsinki il 15 febbraio del 1951. Nel corso della sua carriera ha disputato 273 rally vincendone 56. Nel campionato mondiale rally ha disputato 129 rally vincendone 19 (20 conteggiando anche il Sanremo 1986) e salendo sul podio 56 volte, collezionando 840 punti. Prima vittoria mondiale al Rally di Portogallo del 1975 (sua gara must che vinse per cinque volte) su 124 Abarth Rally, ultimo successo al RAC 1988 su Lancia Delta Integrale. L’esordio nel mondiale avvenne al Mille Laghi del 1973 con Juhani Toivonen chiuso al secondo posto con una Volvo 142, mentre l’ultima apparizione iridata è stata al Mille Laghi 2001 con Ilkka Riipinen su Ford Escort WRC concluso sedicesimo. Oltre alla partecipazione a una gara dell’International Championship of Manufacter, il RAC del 1972 su Volvo 142. Durante la sua carriera da pilota ufficiale Markku Alén ha corso per Ford, Fiat, Lancia, Subaru e Toyota, disputando 186 gare affiancato da Ilkka Kiwimaki, di cui 125 nel mondiale, a partire dal RAC del 1973 su Ford Escort concluso al terzo posto.

Pilota molto aggressivo e determinato, sempre pronto a dare il 110%, rimase famoso per le sue celebri frasi dette nel suo italiano molto particolare e schematico “Se gommo tiene io vince la gara. Se gommo non tiene io dentro la montagna”. Dopo aver esordito all’età di 18 anni (1969) con una Renault 8 Gordini affiancato da Juhani Toivonen, disputò la sua prima gara all’estero nel 1971 chiudendo sesto al Norge Rally con una Volvo 142, mentre nel 1972 effettuò la sua prima trasferta inglese partecipando al RAC, sempre con la Volvo 142.  I buoni risultati ottenuti fino a tutto il 1973 nel 1974 fu ingaggiato dalla Fiat per disputare il mondiale a partire dal TAP Rally portoghese che concluse terzo assoluto, risultato bissato al Mille Laghi. Nel 1975 ottenne subito il terzo posto al MonteCarlo centrando la prima vittoria in Portogallo su terra, il suo fondo preferito. Il 1976 è l’anno che vede l’Abarth impegnata nello sviluppo della nuova 131 Abarth che guida in gara per la prima volta all’Elba, che vince, ottenendo nel corso dell’anno anche la vittoria iridata al Mille Laghi.

Deludente anche la stagione 1977 con un’unica vittoria, in Portogallo, anche se Alen contribuisce a regalare alla 131 Abarth il Campionato del Mondo Costruttori. Il 1978 è l’annata migliore di Alén che vince la Coppa Piloti FIA grazie anche al successo al Sanremo che però centra al volante della Stratos, vettura che guida vittoriosamente al Giro d’Italia. L’annata successiva è a ritmo ridotto con Alen-Kiwimaki che conquistano solo il Mille Laghi e alcune gare nazionali in Finlandia, terminando comunque terzi nel mondiale. Il 1980 vede la Fiat tornare all’assalto del mondiale che conquista sia fra i costruttori, sia fra i piloti con Rohrl, mentre Alen vince il 1000 Laghi e termina solo sesto. Fa comunque il bis al Giro d’Italia con la Lancia Beta Montecarlo Turbo.

Buon compleanno John Surtees

Il “Figlio del Vento” è l’unico pilota a vincere il massimo campionato del mondo su due e quattro ruote. A cura di Tommaso M. Valinotti

TATSFIELD (Inghilterra), 11 febbraioJohn Surtees è nato a Tatsfield, nel Surrey, a circa 30 km a sud di Londra, l’11 febbraio del 1934 ed è morto a Londra il 10 marzo 2017. Caso unico nella storia il “Figlio del Vento” ha vinto i mondiali sia sulle due (tre volte in Classe 350 nel 1958, 1959, 1960 e in Classe 500 nel 1956, 1958, 1959, 1960, sempre su MV Agusta) sia sulle quattro ruote nel 1964 su Ferrari. Figlio di un concessionario di motociclette (il padre Jack vinse il South Eastern Center Sidecar), si sposò tre volte ed ebbe tre figli dalla terza moglie Jane Sparrow. John Surtees morì il 10 marzo del 2017 per problemi respiratori e riposa nella chiesa San Pietro e Paolo nel Surrey, accanto al figlio Henry morto per un incidente in una gara di Formula 2.

Nel motomondiale John Surtees disputò 64 gare (fra il 1952 e il 1960), vincendone 38 e salendo 45 volte sul podio. L’esordio avvenne nel 1952 al Gran Premio dell’Ulster in Classe 500 con una Norton, dove concluse sesto. Nel 1954 corse il Tourist Trophy con una Norton senza vedere il traguardo. Dopo due anni di assenza dalle gare iridate, John Surtees si presentò al via continuativamente nel motomondiale in sella alle Norton sia in Classe 350, sia in Classe 500, disputando inoltre il Gran Premio dell’Ulster in Classe 250 conquistando la sua prima vittoria iridata con una BMW. Nel 1956 al 1960 fu pilota ufficiale MV Agusta con la quale conquistò tutte le altre sue vittorie e tutti i suoi titoli iridati motociclistici. La carriera motociclistica di John Surtees fu straordinaria: nel 1959 vinse tutte le gare del mondiale (sei successi in Classe 350 e sette in Classe 500). In quegli anni Surtees ottenne sempre il massimo dei punti teoricamente raggiungibili in tutte le stagioni in cui conquistò il titolo mondiale (allora si sommavano i punti di quattro gare).

La carriera automobilistica di John Surtees iniziò nel 1960 mentre era ai vertici nel motomondiale. In Formula 1 il Figlio del Vento disputò 113 gare (schierandosi al via 111 volte) fra il 1960 e il 1972, vincendone sei, conquistando otto pole position, dieci giri veloci, 24 podi. L’esordio di John Surtees avvenne sotto la pioggia il 29 maggio 1960 a Montecarlo con una Lotus 18, gara conclusa dopo 17 dei cento giri per rottura della trasmissione. Andò meglio alla gara successiva, quando John Surtees il 16 luglio conquistò la seconda piazza assoluta a Silverstone al Gran Premio di Gran Bretagna. A fine anno fu contattato da Enzo Ferrari per guidare nel 1961 una vettura del Cavallino (che avrebbe conquistato il mondiale con Phil Hill). Nel 1961, abbandonate le due ruote, guidò una Cooper T53 per la scuderia privata Yeoman Racing partecipando a sette gare ottenendo come miglior risultato il quinto posto in Belgio e Germania. Sempre per la Yeoman Racing affrontò nove gare dell’annata successiva con una Lola MK4 ottenendo il secondo posto in Germania e Inghilterra, essendo vittima di quattro ritiri. A fine anno passò alla Ferrari e con la 156 F1 ottenne la sua prima vittoria iridata al Nürburgring, chiudendo quarto nel mondiale. Il titolo arrivò l’anno successivo, grazie a quattro vittorie assolute. Il 1965 fu una stagione sfortunata, chiusa al quinto posto, ottenendo come miglior risultato il secondo posto nella gara inaugurale in Sud Africa.

La stagione 1966 inizia con il ritiro di John Surtees a Montecarlo con la Ferrari 312 dopo appena due giri per noie alla trasmissione, dopo aver conquistato il secondo posto in qualifica. Va meglio in Belgio, dove Surtees vince confermando la competitività della Ferrari 312. Ma dopo questa gara si guastano i rapporti fra Surtees e la Ferrari, probabilmente a seguito di divergenza di vedute fra il pilota inglese ed Eugenio Dragoni per la partecipazione a Le Mans. Al successivo Gran Premio di Francia, John Surtees, dopo aver divorziato dalla Ferrari, si presenta al via con la Lotus 43 a motore 16 cilindri BRM, ritirandosi. Da lì alla fine dell’anno il Figlio del Vento colleziona altri tre ritiri, un secondo posto al Nürburgring, un terzo negli Stati Uniti e il successo nella gara conclusiva a Citta del Messico terminando secondo nel mondiale. L’anno successivo John Surtees si accasa alla Honda e con la RA 300 conquista la vittoria al Gran Premio d’Italia, e chiude il mondiale in quinta posizione. Ancora Honda nel 1968 stagione che chiude al settimo posto con il secondo posto al Gran Premio di Francia. L’anno successivo John Surtees gareggia con la BRM P138 e P139 della Owen Racing ottenendo come miglior risultato il terzo posto negli Stati Uniti.

Nel 1970 Surtees fonda il Team Surtees e inizia la stagione con una McLaren M7, che dopo tre ritiri porta al sesto posto in Olanda. Assente in Francia John Surtees si presenta in Inghilterra con una monoposto che porta il suo nome: la TS7. Che lo porta per la prima volta al traguardo nel successivo Gran Premio di Germania e a punti in Canada. Nei due anni successivi John Surtees corre ancora con le sue vetture ottenendo il miglior risultato il quinto posto in Olanda nel 1971 con la TS9, mentre nella stagione successiva si presenta al via di gare con la Surtees TS14 ritirandosi in Italia e non riuscendo a partire negli Stati Uniti, nonostante si fosse qualificato.

In carriera John Surtees vinse anche il Campionato CanAm nel 1966 con una Lola T-70 Chevrolet, oltre ad aver partecipato quattro volte alla 24 Ore di Le Mans, ottenendo come miglior risultato il terzo posto nel 1964 con la Ferrari 330P a fianco di Lorenzo Bandini.

Il 5 febbraio 1878 nasceva André Citroën, fondatore della marca che porta il suo nome

  • André Gustave Citroën nacque a Parigi il 5 febbraio 1878.
  • Un personaggio straordinario che ha segnato radicalmente l’industria automobilistica grazie alla sua capacità di anticipare elementi innovativi per quell’epoca.
  • Sin da subito intuì che l’industria era il futuro e che la produzione su vasta scala era lo strumento per democratizzare le innovazioni.
  • La sua modernità, il suo carisma e il suo spirito visionario sono ancora oggi profondamente vivi nella Marca che porta il suo nome.

Nasce a Parigi, nella notta tra il 4 e il 5 febbraio 1878, André-Gustave Citroën, l’eclettico fondatore della Marca che tutt’oggi porta il suo nome e che deve proprio a lui quell’impronta geniale ed innovativa che da sempre la contraddistingue.

André-Gustave Citroën, ultimo di cinque figli, vede la luce in una famiglia cosmopolita, con il pallino per gli affari.

Le origini del cognome provengono da lontano. Suo padre Levie Citroën era un commerciante di pietre preziose, figlio di Barend, un artigiano orafo, a sua volta figlio di un venditore di frutta, olandese, di nome Roelof, nato senza alcun cognome. Nel 1811, Napoleone I ordinò un censimento che prevedeva l’istituzione di un cognome per tutti coloro che ne erano sprovvisti, e fu allora che Roelof, in riferimento alla sua professione, fu chiamato Limoenmann (letteralmente “l’uomo dei limoni”).

Quando uno dei suoi figli, Barend, divenuto artigiano orafo, decise di sposare la bella Netje Rooseboom, fu costretto a cambiare il proprio cognome perché il padre della fanciulla, grossista di orologi, si considerava di un livello superiore a quello di un semplice artigiano e così acconsentì al matrimonio alla condizione che Barend modificasse adeguatamente il suo cognome. Fu allora che Barend Limoenmann divenne Barend Citroen – nome che in olandese si scrive senza dieresi e significa “limone”. Uno dei loro 12 figli, Levie, per portare avanti l’attività di commercio di pietre e metalli preziosi del padre, si trasferì a Varsavia, dove sposò Masza Amalia Kleimann. La nuova famiglia decise ben presto di lasciare la Polonia (allora sotto il giogo russo) e, dopo aver accarezzato la possibilità di trasferirsi in America, scelse la più vicina Francia dove nel 1870, a Parigi, stabilirono residenza e sede dell’attività di commercio di pietre preziose. Fu qui, nella Ville Lumière, che Barend decise di dare una connotazione francese al proprio cognome, aggiungendo una dieresi e dare così origine alla famiglia Citroën.

André-Gustave non è interessato all’attività di famiglia che viene portata avanti dagli altri fratelli; è un ragazzo intraprendente ed affascinato da tutto ciò che è moderno e tecnologico, così ottiene di poter studiare École Polytechnique di Parigi dove si laurea in ingegneria. Senza dubbio ha ereditato il fiuto per gli affari dei “Citroën” grazie al quale, nel 1900, durante un viaggio in Polonia, ha l’opportunità di visitare le aziende specializzate in meccanica di precisione e valutare le tecnologie in uso. È proprio in questa occasione che in un’azienda nella sperduta campagna polacca scopre qualcosa che avrebbe profondamente segnato la sua vita: un nuovo tipo di ingranaggio, con i denti a cuspide, (in grado di moltiplicare o ridurre grandemente forza e movimento di macchinari anche molto imponenti). Compra subito il brevetto con l’idea di svilupparlo ed impiegarlo su scala mondiale.

Nei primi anni del 1900 l’Europa è un cantiere di idee in pieno fermento: dall’arte, alla musica, all’architettura tutto è nuovo e ricodificato; nasce l’esigenza di ridisegnare le città con strutture avveniristiche e nuovi materiali, va lasciato spazio alle fabbriche moderne in grado di produrli come acciaierie e centrali elettriche…

André, che da bambino ha seguito con ammirazione la costruzione della Tour Eiffel, emblema di tecnologia e modernità è l’uomo giusto al momento giusto e capisce ben presto che il futuro è nella produzione industriale e nella sua efficienza e standardizzazione.

La prima attività di Citroën, nel 1902, è quella delle Acciaierie André Citroën che producono materiali per l’edilizia ed i cantieri navali oltre a “ruote dentate a doppia elica”, ovvero gli ingranaggi del brevetto polacco, dalla cui forma a “V” nascerà il simbolo, entrato nella storia, delle due punte di freccia direzionate naturalmente verso il futuro, per cui verso l’alto (il “double chevron”).

L’ingresso di André Citroën nel mondo dell’automobile, l’oggetto che sarà viatico e testimone di tutta la sua genialità, avviene nel 1908, quando accetta la direzione di una celebre azienda automobilistica, quella dei fratelli Mors, specializzata in auto di lusso e da competizione. Per assolvere agli enormi debiti dell’azienda, grazie alle conoscenze della cosmopolita famiglia Citroën, André riesce a trovare un finanziatore: un ricchissimo gioielliere di origini armene amante delle auto da corsa. Recuperata la situazione bancaria è il momento di dedicarsi alla produzione mettendo in pratica tutte le nuove idee su catena di montaggio e produzione industriale espresse dal taylorismo.

E così la Mors passa dalla produzione artigianale, nel 1908, di poche decine di vetture al mese ad una produzione industriale, nel 1910, di 646 unità mensili!

Anche se le Mors non saranno mai il prodotto democratico ed accessibile a tutti a cui André ha sempre aspirato, otterranno un eccezionale successo di pubblico e di vendite fino a quando la Prima guerra mondiale ne decreterà il declino.

Il geniale André non smette di sognare, e nel 1919, a Parigi, in quai de Javel, nella fabbrica automobilistica André Citroën nasce la Citroën Type A 10 HP, un’automobile costruita in grande serie, non più di lusso né da corsa, ma economica, solida, facile da riparare e, se non proprio di tutti, alla portata di molti.

La Type A è la prima vettura europea costruita in serie, la prima auto francese con la guida a sinistra e concepita per poter essere guidata da chiunque. Viene venduta completa di capote, ruota di scorta, fari ed avviamento elettrici il tutto per soli 7.950 franchi (un prezzo molto basso per l’epoca). Dotata di un motore a 4 cilindri da 1.327 cm³, può raggiungere una velocità di ben 65 chilometri orari!

Fin da subito viene declinata in più allestimenti e caratterizzata da colori brillanti come l’azzurro o il giallo in un panorama di macchine prevalentemente nere: il Marchio del Double Chevron, ha appena iniziato a cambiare per sempre il modo di concepire e produrre l’automobile.

Nel 1919 vengono prodotte 2.810 vetture (Type A “berline” e furgoni).

Nel 1925 la produzione annuale di tutta la gamma raggiungerà i 61.487 veicoli.

André Citroën ha una visione illuminata della produzione industriale con un approccio estremamente innovativo per l‘epoca.

Con l’intento di rendere più “umano” il taylorismo, riducendo gli effetti alienanti della catena di montaggio, mette a disposizione degli operai di Javel strutture e facilitazioni incredibilmente all’avanguardia per i tempi.

Il pensiero di André è tutto in questa frase: «Io vorrei che noi arrivassimo, a Javel, a creare dappertutto dei sorrisi supplementari, in tutti i reparti, in tutti gli anelli della catena. […] Questa catena, necessità del nostro secolo, non la possiamo più cancellare ma abbiamo il dovere di distruggerla con questa massa di sorrisi».

Marco Simoncelli, un grande campione fermato troppo presto

Testo elaborato da Tommaso M. Valinotti

CATTOLICA (RN). 20 gennaio 1987 – Marco Simoncelli nacque a Cattolica, in provincia di Rimini il 20 gennaio 1987 ed è stato campione del mondo di Classe 250 nel 2008. “Sic” è morto il 23 ottobre 2011 subito dopo il via al Gran Premio di Malesia a Sepang, investito dai piloti che lo seguivano in gara. Nel 2014 il suo nome è stato inserito nella Hall of Fame del Motociclismo e nel 2016 la federazione ha deciso di ritirare il suo numero di gara, il 58, dai Gran Premi motociclistici.

La carriera di Marco Simoncelli nel Motomondiale è iniziata in Classe 125 nel 2002 al Gran Premio della Repubblica Ceca a Brno, concludendo la gara in 27esima posizione con un’Aprilia. In totale Sic ha disputato 151 gare nel Moto Mondiale, fra 125, 250 e Moto GP, conquistando 14 vittorie, 15 Pole Position, 9 Giri Veloci, 31 podi e il titolo mondiale Classe 250 nel 2008 su Gilera. Simoncelli ha disputato anche due gare in Superbike correndo le due prove di Imola nel 2009 con una Aprilia RSV4 ufficiale ritirandosi nella prima gara chiudendo terzo nella seconda. In carriera ha corso su Aprilia, Gilera e Honda.

In sella grazie a papà. Spinto dal padre Paolo, cominciò a correre in moto giovanissimo disputando all’età di sette anni le gare sulle minimoto, arrivando a conquistare il titolo italiano all’età di dodici anni, trionfo che bissò nel 2000, l’anno successivo, stagione in cui corse anche nell’Europeo chiudendo secondo. Nel 2001, a 14 anni, affrontò il Trofeo Honda NR andando a podio in un paio di occasione, oltre a disputare il campionato italiano 125 GP.

A quindici anni nel giro iridato. Il 25 agosto 2002, a quindici anni, Marco Simoncelli fa il suo esordio nel Motomondiale nella classe 125 con l’Aprilia 125 CWF del Matteoni Racing al Gran Premio della Repubblica Ceca, sul circuito di Brno, chiudendo 27° assoluto, su 35 partenti dopo aver segnato il 24° tempo nelle prove. Va subito a punti nella gara successiva il Gran Premio del Portogallo all’Estoril, corso sotto la pioggia, fondo sul quale dimostrerà sempre grande abilità, dove è tredicesimo assoluto mettendo in casella i suoi primi tre punti. Dopo il 21° in Brasile, incappa in tre ritiri nei Gran Premi che chiudono la stagione che termina al 33° posto della classifica iridata. Salto di qualità nella stagione successiva che lo vede al via in tutti i sedici Gran Premi della stagione, ottenendo punti in cinque occasioni chiudendo la stagione con il quarto posto al Gran Premio della Comutitade Valenciana, in Spagna che gli permette di terminare l’annata al 21° posto assoluto con 31 punti. Annata di crescita anche nel 2004 che chiude in 11esima posizione assoluta, ottenendo la prima vittoria in carriera a Jerez de la Frontera, dopo aver siglato la pole position, confermandosi re della pioggia a Brno dove parte ancora in pole position. Ma cadute e ritiri di troppo gli impediscono di salire ancora più in alto nella classifica iridata assoluta. Il 2005 vede Marco Simoncelli scalare ulteriormente la classifica della Classe 125 del Moto Mondiale e chiudere quinto. Simoncelli inizia con il piede giusto e Jerez de la Frontera, prima gara della stagione, vince dopo aver siglato la pole position. La stagione non è facile. I suoi 183 centimetri di altezza rendono difficile trovare la giusta posizione sulla moto e non favoriscono certo l’aerodinamica. Sic comunque lotta. È secondo a Barcellona, dopo aver staccato il terzo tempo in prova; sale sul podio in Germania (secondo tempo in qualifica), a Brno, partendo in prima fila, in Qatar, rimontando dl settimo posto al via, e ancora Australia.

Ma è ora di cambiare categoria, la 125 è troppo stretta per Marco Simoncelli. E, infatti, nel 2006 si presenta al via della Classe 250 con la Gilera RSV ufficiale che annovera come capo tecnico Rossano Brazzi che, però, per una malattia, non segue i suoi piloti per gran parte della stagione. Ritirato in Spagna, Simoncelli ottiene i suoi primi punti in 250 nel successivo Gran Premio del Qatar, ottenendo come miglior risultato stagionale il sesto posto sul circuito cinese di Shangai. A fine anno Marco Simoncelli è decimo con 92 punti in carniere. Nel 2007 il romagnolo non può disporre di una moto ufficiale, ma deve “accontentarsi” di una RSV 250 LE gestita in pista da Aligi Deganello. Simoncelli replica i risultati dell’anno precedente chiudendo decimo assoluto, conquistando due volte la sesta piazza in gara a Le Mans (Francia) e Assen (Olanda.)

Campione del mondo. Finalmente il talento di Marco Simoncelli viene premiato con la conquista della corona iridata su una Gilera RSA 250 non ufficiale. La stagione non parte bene con due cadute in Qatar e a Jerez, con tempi in qualifica poco soddisfacenti. Il discorso cambia in Portogallo, dove Sic è quarto siglando la prima pole stagionale. Quarto in Cina trova la vittoria nel Mugello casalingo, bissata dalla successiva vittoria a Barcellona. A quel punto la Gilera punta su di lui e gli dà una moto evoluta. La stagione si snoda con un secondo posto in Inghilterra, terzo in Olanda e la conquista della terza vittoria stagionale sul Sachsenring, dove parte in pole position e vince di forza con 10” di vantaggio sul Mika Kallio. È poi terzo a Brno, pur partendo dalla pole position solo sesto a San Marino, anche se è partito dalla seconda posizione in griglia. Dopo l’annullamento di Indianapolis, Marco Simoncelli infila un finale di stagione esaltante che lo vede vittorioso in Giappone a Motegi (vittoria e pole), Phillip Island (vittoria e pole), terzo posto in Malesia e gran finale a Valencia con vittoria e pole. Alla fine Marco Simoncelli è campione del mondo con 281 punti contro i 244 di Alvaro Bautista, titolo legittimato da sei vittorie contro le quattro di Bautista.

Contrariamente alla tradizione che vede il campione del mondo di Classe 250 salire nella Moto GP, Marco Simoncelli resta in 250 anche l’anno successivo. Ancora una volta la stagione non parte nel migliore dei modi. Infortunato e costretto a saltare la gara del Qatar, Sic è 17° in Giappone e terzo in Spagna. Sotto la pioggia di Le Mans sfodera tutto il suo talento e va a vincere con 18” sul secondo classificato. Esaltante la gara bagnata del Mugello nella quale Simoncelli chiude secondo dopo un duello spalla a spalla con Mattia Pasini. Dopo il terzo posto in Olanda eccolo tornare a vincere, come l’anno precedente al Sachsenring, che sancisce la sua decima vittoria iridata. Quarto posto in Inghilterra e l’amica pista di Brno gli regala un altro successo, dopo aver lottato, ancora una volta, con Mattia Pasini. Anche Indianapolis è amica e Simoncelli conquista la quarta vittoria stagionale, che precede il ritiro di San Marino a causa di una caduta che lo allontana dai due leader del mondiale: Aoyama e Bautista. Con un colpo di reni Marco Simoncelli rimette tutto in discussione, vince perentoriamente all’Estoril e bissa il successo dell’annata precedente a Phillip Island, riportandosi a soli dodici punti dal leader Aoyama con due gare ancora da disputare. In Malesia vince però il giapponese e Simoncelli è classificato terzo pur chiudendo con lo stesso tempo, al millesimo di secondo, di Héctor Barberà, ma il secondo posto viene assegnato allo spagnolo in quanto ha un miglior riscontro cronometrico sul giro. Con 21 punti di ritardo da Aoyama nella gara finale di Valencia serve un miracolo. E Marco Simoncelli si impegna a realizzarlo fin dalle qualifiche nelle quali stacca il miglior tempo. Partito dalla pole position guida la gara per una ventina di giri, poi scivola e si deve ritirare. La vittoria di Barberà gli toglie anche la seconda piazza in campionato nel quale il romagnolo chiude terzo con 231 punti appena otto in meno dello spagnolo. In questa stagione Simoncelli disputa anche la sua unica gara in carriera nel Campionato Mondiale Superbike con una Aprilia RSV4 sul circuito di Imola. Ottavo tempo in prova, in gara cade al nono giro alla curva della Tosa e deve ritirarsi. Grande prestazione in Gara-2 dove compie una gran rimonta culminata con un gran sorpasso sul compagno di squadra Max Biaggi all’ultima curva dell’ultimo giro salendo sul terzo grandino del podio e risultando il miglior pilota Aprilia.

Il grande salto alla Moto GP. Nel 2010 Marco Simoncelli è maturo per salire nella massima categoria e si accorda con il Team San Carlo Honda Gresini per guidare una Honda RC212V facendo squadra con Marco Melandri. Dopo un inziale periodo di affiatamento alla moto e alla categoria (andando comunque a punti fin dalla prima gara del Qatar), Sic comincia a inserirsi nelle zone alte della classifica chiudendo sesto assoluto in Germania. Dal Gran Premio di Aragona di settembre Simoncelli entra costantemente fra i primi dieci, ottenendo come miglior risultato stagionale il quarto posto in Portogallo, a un solo decimo dal podio di Andrea Dovizioso, terzo. A fine stagione è ottavo assoluto in campionato con 125 punti, due posizioni davanti al compagno di squadra Marco Melandri.

2011 l’anno della consacrazione e della fine. In questa stagione Marco Simoncelli resta fedele al Team San Carlo Honda Gresini, che ottiene dalla Honda le stesse moto del team ufficiale HRC. Al suo fianco c’è il giapponese Hiroshi Aoyama con il quale ha lottato per il titolo 250 nel 2009. La stagione inizia con un promettente quinto posto in Qatar. Nella seconda gara della stagione, a Jerez, mantiene il comando per 11 giri, prima di cadere e ritirarsi. Ancora un ritiro in Portogallo, seguito da un quinto posto a Le Mans. Nel successivo Gran Premio di Catalogna, nel quale giunge sesto, sigla la pole position, risultando più veloce di tutti anche in Olanda. A Brno sale per la prima volta sul podio chiudendo terzo, e 12° a Indianapolis, poi inanella tre quarti posti consecutivi a San Marino, sul Circuito di Aragona e in Giappone, prima di ottenere un secondo posto sul circuito particolarmente gradito da Simoncelli a Phillip Island. Nella gara seguente di Sepang, Simoncelli incapperà nell’incidente che gli costerà la vita e il secondo posto dell’Australia resterà il suo miglior risultato in Moto GP. A fine stagione sarà classificato sesto assoluto con 139 punti, quattro posizioni più in alto del compagno di squadra Aoyama.

Il Gran Premio di Sepang del 23 ottobre, è stato fatale a Marco Simoncelli che nel corso del secondo giro della gara ha perso il controllo della sua Honda, cercando di rimanere in sella ha sterzato portandosi al centro pista venendo così colpito da Colin Edwards e Valentino Rossi che lo inseguivano a distanza ravvicinata. L’impatto è stato così violento da sfilare il casco di Simoncelli che è morto in seguito ai traumi riportati a testa, collo e torace. Quattro giorni dopo, il 27 ottobre, si sono svolte le esequie nella chiesa di Coriano, dove Simoncelli viveva, con la partecipazione di 25.000 persone. Il Milan, squadra di cui era tifoso, ha giocato con il lutto al braccio la partita disputata alcune ore dopo la scomparsa del pilota romagnolo. Marco Simoncelli, come da sue volontà, è stato cremato e le ceneri consegnate alla famiglia. A Simoncelli è intitolato il Circuito Santamonica di Misano Adriatico.

Buon compleanno Sergio Cresto

Campione del mondo mancato

NEW YORK, 19 gennaio – Sergio Cresto nacque il 19 gennaio 1956 e morì nel rogo della sua Lancia Delta S4 al Col d’Ominada a fianco di Henri Toivonen il 2 maggio 1986 durante il Tour de Corse.

Nel corso della sua carriera disputò 89 rally vincendone otto, debuttando nel 1976 a fianco di Amedeo Gerbino al Rally 100.000 Trabucchi su Opel Kadett GT/E chiudendo secondi di classe. In quella stagione dettò le note anche a Fabrizia Pons al Rally Valli Imperiesi su Alfasud (29esimi assoluti). Nella stagione 1977 affiancò Amedeo Gerbino nel Campionato Italiano. Nel 1978 disputò ancora tre gare con Gerbino, oltre al Giro d’Italia su Lancia Stratos, chiudendo terzo assoluto. Nuovamente Opel Kadett GT/E nel 1979 a fianco di Tonino Tognana e Rally di Monza con Gabriele Noberasco. Stagione intensa nel 1980 con Tognana su 131 Abarth, ripetuta nel 1981 finendo l’annata a fianco di Andrea Zanussi.

Il 1982 inizia con Gianfranco Cunico e prosegue con Michele Cinotto sulla Fiat Ritmo Abarth salendo sulla Stratos al conclusivo Valle d’Aosta finito con un ritiro. Lancia Rally ed Europeo nel 1982 con Cinotto e Zanussi, bissata nel 1983, proseguendo nel 1984 sulla berlinetta torinese, iniziando da Monte Carlo con Jean Claude Andruet, poi nell’Europeo con Carlo Capone, vincendo il Boucle de Spa, il Costa Blanca, Rally Albena, Halkidiki e Antibes, oltre a numerosi piazzamenti che valsero all’equipaggio del West Rally Team il titolo europeo. In quella stagione dettò le note anche ad Attilio Bettega sulla 037 ufficiale all’Acropoli, a Giorgio Pianta a Monza. e Noberasco al Sestriere. Sempre 037 del West Lancia Team nel 1985 con Bettega (Costa Brava) e Zanussi vincendo Antibes per poi passare alla destra di Henri Toivonen nel 1986 nel mondiale sulla Lancia Delta S4 conquistando il successo all’esordio a Monte-Carlo e al Costa Smeralda.

Sergio Cresto disputò 11 gare del mondiale rally, a cominciare dal Sanremo 1977 sulla Opel Kadett di Amedeo Gerbino fino al fatale Corsica, ottenendo una vittoria al Monte-Carlo, vincendo 45 prove speciali, l’ultima delle quali la Folelli-S.te Lucie de Moriani prima dell’incidente sulla Corte-Taverna.

In quel Rally di Corsica Toivonen-Cresto dominarono la scena vincendo 12 delle 17 prove speciali disputate presentandosi alla Corte-Taverna con 2’45” di vantaggio su Saby-Fauchille. Il Rally di Corsica non era una gara gradita da Toivonen che prima del via dichiarò di non volerci mai più correre, mentre un funesto presentimento convinse Sergio Cresto a fare testamento il 20 aprile precedente, dodici giorni prima della morte.

Buon compleanno Gilles Villeneuve: “Noi ti amiamo”

Testo coordinato da Tommaso M. Valinotti

SAINT JEAN SUR RICHELIEU (Quebec, Canada) – “Il mio passato è pieno di dolore e di tristi ricordi: mio padre, mia madre, mio fratello e mio figlio. Ora quando mi guardo indietro vedo tutti quelli che ho amato. E tra loro vi è anche questo grande uomo, Gilles Villeneuve. Io gli volevo bene”. Parola di Enzo Ferrari. Gilles Villeneuve è stato una di quelle meteore che hanno illuminato il mondo delle corse molto di più di stelle che hanno girovagato per il firmamento, ma non hanno scolpito il loro nome così profondamente ed indissolubilmente nel cuore dei tifosi

Gilles Villeneuve aveva un nome di battesimo molto più lungo. In realtà si chiamava Joseph Gilles Henri Villeneuve, ma quel Gilles bisillabico gli permetteva di correre più velocemente, come gli piaceva vivere, anche nel nome. Era nato a Saint-Jean-sur-Richelieu, una città con meno di 100mila abitanti a 50 chilometri da Montreal, nel Quebec, il 18 gennaio 1950 (anche se quando si presentò ad Enzo Ferrari, temendo di essere troppo vecchio, si tolse un paio di anni e mantenne il segreto per tutta la sua vita). Morì in un letto di ospedale, nella città universitaria di Lovanio, in Belgio, l’8 maggio 1982 ed in quel giorno, per tanti tifosi, morì anche la Formula 1.

In una città così a nord, la passione del giovane Gilles si manifestò correndo e vincendo con le motoslitte, nelle quali ebbe come primo avversario il fratello Jacques. Fu un vero campione al punto di conquistare il titolo mondiale nel 1974. Che fosse un campione lo capirono subito gli avversari quando nel 1976 vinse il campionato canadese ed americano di Formula Atlantic e l’anno dopo fece il bis. Ma per correre, agli inizi dovette affrontare enormi sacrifici, il più eclatante dei quali fu vendere la casa in cui abitava insieme alla moglie Johanna. La scalata al successo inizio con una vecchia Formula Ford nel 1973 con cui affronto il campionato regionale nel 1973 (vincendo ben sette gare), prima di compiere il grande salto alla Formula Atlantic. Ma furono le gare in motoslitta a permettergli di avere la sponsorizzazione della Skiroule che gli consentì di correre in Formula Atlantic e disputare una gara capolavoro a Trois Rivieres, quando vinse davanti ad alcuni piloti già affermati in Formula 1, come James Hunt.

E fu proprio Hunt a proporlo a Teddy Mayers della McLaren con cui nel 1977 disputò il Gran Premio di Gran Bretagna (nonostante fosse al volante della terza vettura della squadra seppe conquistarsi il trofeo “driver of the day”), per poi chiudere la stagione alla Ferrari, con cui disputa le ultime due della stagione in sostituzione del “contestatore” Niki Lauda, che appena conquistato il secondo titolo iridato se ne andò da Maranello sbattendo la porta. Da allora difese costantemente i colori del Cavallino Rampante, conquistando sei vittorie titolate ed una nella Race of Champions a Brands Hatch nel 1979, anno in cui fu vice campione del mondo e fedele scudiero di Jody Scheckter. La prima gara con la Ferrari nel 1977 fu il GP del Canada che si chiuse con un ritiro, cui fece seguito il GP del Giappone, in cui Villeneuve fu protagonista di un incidente spettacolare che costò la vita due spettatori (un commissario di percorso ed un fotografo, posizionati probabilmente in zona vietata e sicuramente pericolosa). La Ferrari di Villeneuve tamponò la Tyrrell di Ronnie Peterson e volo in alto nel cielo del Giappone. Quale terribile analogia con l’incidente che gli sarebbe costato la vita meno di cinque anni dopo. Villeneuve si conquistò il soprannome di aviatore, l’ammirazione di Enzo Ferrari e gli attacchi della stampa becera di tutto il mondo. E già nella prima gara del 1978 ottenne il suo giro più veloce in gara (GP di Argentina), ottenne per la prima volta il comando della gara (GP degli Stati Uniti), tutto ciò nonostante la Ferrari del 1978 non fosse al massimo della forma, in netta inferiorità contro l’imperante Lotus. Ed a fine stagione, proprio in Canada conquistò il suo primo successo.

L’anno successivo fu la volta della splendida Ferrari 312 T4 che regalò a Scheckter il titolo mondiale (1979), che aveva un contratto da prima guida, ed a Villeneuve una stretta seconda piazza. Villeneuve vinse sotto la pioggia (con gomme da asciutto!) in Sud Africa, ottenne la prima pole position negli Stati Uniti, dove ottenne una seconda vittoria ed andando in testa al mondiale. Nel delirio dei suoi tifosi. Problemi di affidabilità non permisero a Villeneuve di difendere la sua leadership, lasciando via libera a Scheckter, fiducioso di una netta rivincita l’anno successivo. Non senza alcuni momenti memorabili come la sfida ruota contro ruota con René Arnoux per i tre giri finali del Gran Premio di Francia. Tutti ricordano quel duello, nessuno ricorda che quello fu il primo successo della Renault con Jean Pierre Jabouille. In Olanda continuò imperterrito nonostante uno pneumatico dechappato. Ormai certo di non poter conquistare il titolo iridato seguì docilmente Scheckter a Monza, per chiudere la stagione con una vittoria a Watkins Glen. Fu la miglior stagione della sua carriera. Gran favorito nel mondiale 1980, non trovò nella Ferrari 312 T5 lo strumento necessario per dargli l’alloro iridato. Ritiri e cedimenti, un pauroso incidente a 300 all’ora a Le Castellet furono le sole cose che videro per protagonista Villeneuve e la Ferrari, tutta concentrata a sviluppare il modello 1981 con motore turbo. Con il ritiro di uno spento Scheckter, Villeneuve divenne la prima guida della Ferrari, ma seppe accogliere con il suo solito sorriso il nuovo compagno di squadra, Didier Pironi. Il 1981 fu ancora speso in gran parte nello sviluppo della 126 CK con motore turbo. Dovette attendere il Gran Premio di San Marino per ottenere una pole position, per ottenere una vittoria strepitosa al Gran Premio di Montecarlo, grazie ad una capacità di gestione della gara inimmaginabile per un pilota grintoso e “spettacolare” come lui. Villeneuve aveva ben chiaro che la Ferrari era inferiore alla Williams, ma ciò non bastò a farlo desistere da continuare con il Cavallino Rampante, al punto di firmare un contratto che lo avrebbe vincolato a Maranello sino alla fine del 1983. E con il contratto in tasca conquistò un’altra vittoria capolavoro nel GP di Spagna, rimontando dalla settima piazza e riuscendo a difendersi dagli assalti di una muta di inseguitori al punto che sul traguardo finale le prime cinque vetture furono classificate in poco più di un secondo. Dopo quella gara tornò ad essere il mitico Gilles Villeneuve. Aggressivo, determinato, impulsivo. Al punto che al Gran Premio del Canada, gran premio in cui i suoi tifosi gli regalavano una marcia in più, effettuò gran parte della gara con l’alettone anteriore storto, a seguito di un contatto con Niki Lauda, fino a quando l’appendice aerodinamica non si staccò da sola.

Villeneuve era estremamente fiducioso per il 1982. la Ferrari aveva lavorato moltissimo a creare la 126 C2, una vettura che si sarebbe dimostrata imbattibile in pista dagli avversari. Ma vittima di tantissima sfortuna. L’inizio di stagione non fu molto fortunato, con due ritiri nelle prime due gare, una squalifica ed un divorzio imminente. La quarta era Imola, disertato dai team inglesi per protesta nella guerra fra la FISA di balestre e la FOCA di Bernie Ecclestone. La Ferrari ebbe facilmente la meglio sulle Renault che prima di metà gara si ritirarono. Gli accordi all’interno della Scuderia di Maranello prevedevano di mantenere le posizioni quando la classifica si fosse consolidata. Villeneuve era in testa, ai box esposero il cartello “slow” per invitare i due piloti a non commettere follie. Il canadese ricordava bene la gara di Monza del 1979 quando si era ben guardato di insidiare il compagno di squadra Jody Scheckter, ma Pironi pensò di avere campo libero ed attaccò Villeneuve, in un continuò scambio di posizione che portò Pironi al successo con un sorpasso all’ultimo giro. Villeneuve scese dalla monoposto infuriato e a nulla valsero le intercessioni dello stesso Enzo Ferrari: fra Villeneuve e Pironi l’amicizia era terminata. Addirittura Villeneuve pensò di cambiare squadra.

Due settimane dopo in Belgio si ebbe la catastrofe. L’incedente avvenne nel corso delle prove del Gran Premio del Belgio l’8 maggio 1982 quando tamponò a 227 chilometri orari la March di Jochen Mass che procedeva lentamente. A Zolder le Ferrari non era andate bene. Pironi era sesto in qualifica, Gilles addirittura ottavo. Alle 13,52 Villeneuve si rituffò in pista, quando mancavano pochi minuti alla fine delle prove cronometrate. Dopo aver percorso metà pista, percorse la chicane che immette alla discesa verso la curva “Terlamenbocht” (la curva del bosco). Mass, che viaggiava lentamente, vide arrivare Villeneuve, pensò di dargli strada spostandosi a destra. La manovra non fu capita da Villeneuve; il canadese pensava che Mass gli lasciasse via libera sulla traiettoria esterna, la più veloce. Il colpo fu terribile, la Ferrari volò nuovamente in cielo, compì due looping completi, supero i guard rail esterni e si abbatté sulla via di fuga, prima di essere rimbalzata nuovamente in alto, e di ricadere in pista, proprio davanti all’esterrefatto Mass. Nell’urto nella via di fuga si staccò il pannello fissato al sedile, ancora agganciato al suo posto di guida il corpo di Villeneuve volò per oltre 50 metri prima di ricadere dopo aver divelto anche una rete metallica. Prontamente soccorso dal commissari, personale medico ed alcuni piloti che lo seguivano, tutti capirono che le condizioni del piccolo canadese erano gravissime. Fu trasportato al centro medico del circuito, e poi alla clinica universitaria St. Raphael di Lovanio dove fu mantenuto in vita artificialmente fino alle 21,12 della stessa sera, quando la moglie Johanna, giunta precipitosamente dalla loro casa di Montecarlo, diede l’autorizzazione a staccare le macchine. Il 12 maggio si svolsero le esequie nel cimitero di Montreal ed in base alle volontà del pilota, il corpo di Gilles fu cremato.

Gilles Villeneuve esordì in Formula 1 il 16 luglio 1977 con una McLaren M23 al GP d’Inghilterra concludendo 11° assoluto. Partì in 67 Gran Premi (oltre ad uno non qualificato) tutti con la Ferrari (tranne il primo). Ha ottenuto 6 vittorie, 13 podi, 2 due pole position, 8 giri veloci e 107 punti. Fu vice campione del mondo nel 1979.

Ma soprattutto fu amato da tutti gli appassionati di questo sport.

Buon compleanno Richard Burns, campione sfortunato

READING (Inghilterra), 17 gennaio – Richard Burns è stato un pilota di ottimo livello, raggiungendo l’apice della sua carriera nel 2001 quando riuscì a conquistare il titolo mondiale WRC affiancato da Robert Reid con la Subaru Impreza WRC, pur avendo vinto una sola gara, il rally di Nuova Zelanda. In carriera Burns ha disputato 104 gare iridate, vincendone dieci, salendo per ben 34 volte sul podio, mentre in totale prese il via a 158 rally, ottenendo 16 vittorie.

Richard Burns era nato a Reading, una città a 70 chilometri da Londra il 17 gennaio 1971 e cominciò a guidare all’età di otto anni mettendosi al volante della vecchia Triumph di famiglia. Tre anni dopo era iscritto all’Under 17 Car Club divenendo pilota dell’anno due anni dopo nel 1984. Visto il talento il padre lo iscrisse nel 1976 alla Jan Churchill’s Welsh Forest, avendo l’opportunità di mettersi al volante di una Ford Escort. Nel 1988 disputò le sue prime gare con una Talbot Lotus, Ford Escort e Toyota Corolla con la quale conquistò la sua prima vittoria di classe nel 1989. L’anno successivo passò alla guida di una Peugeot 205 GTI e con questa vettura disputò diverse gara, una anche in Belgio, per passare alla guida di una Peugeot 309 GTI con la quale disputò il Lombard RAC Rally sua prima presenza nel mondiale. Nel 1991, dalla prima gara della stagione il Wyeadean Rally, inizia la partnership con Robert Reid che sarà al suo fianco per tutte le successive gare della sua carriera.

Nel 1993 andò a far parte del Subaru Rally Team al volante di una Legacy RS conquistando immediatamente il podio assoluto alla prima gara, secondo al Mazda Car Line-Winter Rally e la vittoria alcuni mesi nel Kerridge Severn Valley Stages Rally, vincendo il titolo nazionale britannico, con quattro vittorie assolute nel 1993, partecipando nuovamente al RAC Rally (settimo assoluto) chiudendo secondo nel Rally of Thailand di fine anno. Nel 1994 partecipa fra l’altro al campionato Asia-Pacifico, dove conclude terzo, senza per altro ottenere vittorie. Ancora Subaru e gare dell’Asia-Pacifico nel 1995 con qualche sortita nel mondiale. Nel 1996 passa alla Mitsubishi e con la Carisma GT conclude secondo, mettendosi in mostra nelle prove mondiali cui partecipa, e nell’Asia Pacifico in particolare in Nuova Zelanda dove vince davanti ai piloti ufficiali Subaru Kenneth Eriksson e Piero Liatti. Ancora Mitsubishi Carisma GT cui fa seguito la Lancer di RalliArt nel 1997 alternando gare del mondiale all’Asia Pacifico. Sempre Carisma nel 1998 ma ora è il mondiale il suo terreno di sfida, dove conclude sesto vincendo la sua prima gara, il Safari Kenya, bissato a fine stagione dal successo nella gara di casa, il RAC.

Questi risultati consigliano David Richard della Prodrive di chiamarlo alla sua corte al volante della Subaru, squadra per cui Richard Burns correrà nei successivi tre anni, conquistando otto vittorie, il titolo nel 2001, anche se con una sola vittoria, e due secondi posti nel 1999 e nel 2000.

Con il titolo in tasca passa alla Peugeot e con la 206 WRC ottiene il quinto posto in campionato nel 2002, ottenendo come miglior risultato la seconda piazza in quattro gare, mentre nel 2003, pur continuando a non vincere gare si dimostra parecchio costante nelle prestazioni con sei presenze sul podio. È in piena lotta per il titolo mondiale ma alla vigilia del RAC Rally Burns accusa un misterioso black out al cervello che consiglia alla squadra Peugeot di non schierarlo nella gara di casa. Ricoverato in ospedale gli viene diagnosticato un astrocitoma, tumore del sistema nervoso centrale, che porterà Richard Burns alla morte due anni dopo, il 25 novembre 2005.

Buon compleanno Gigi Galli

Ultimo pilota italiano ufficiale nel mondiale rally

LIVIGNO (SO), 13 gennaio – Gigi Galli è nato a Livigno il 13 gennaio 1973 ed è stato l’ultimo pilota italiano ad aver indossato i gradi di “ufficiale” nel mondiale rally. In carriera ha disputato 126 rally, vincendone il Rally Mille Miglia nel Trofeo Cinquecento del 1996, oltre a dieci rally-show vincendone tre (Memorial Bettega e Memorial Dante Salvay del 2005 con la Mitsubishi Lancer WRC, Memorial Bettega 2006 su Peugeot 307 WRC) vincendo il titolo italiano Gruppo N nel 1998 su Mitsubishi Carisma e nel 2000 su Mitsubishi Lancer.

Nel Campionato Mondiale Rally Gigi Galli ha disputato 62 gare, ritirandosi trenta volte, salendo due volte sul podio al terzo posto al Rally di Argentina 2006 (Peugeot 307 WRC) e allo Svezia 2008 (Focus RS WRC), vincendo 22 prove speciali e segnando 52 punti iridati. L’esordio iridato di Galli avvenne al Sanremo 1998 con la Mitsubishi Carisma affiancato da Guido d’Amore chiudendo 19° assoluto e primo di Classe N4, mentre l’ultima gara fu l’ADAC Rallye Deutschland del 2008 con la Escort WRC a fianco di Giovanni Bernacchini concluso con un incidente.

Gigi Galli, famoso per la sua guida aggressiva e spettacolare, detiene anche il record, assieme a Tommi Makinen del volo più lungo al Mille Laghi con un salto di ben 54 metri effettuato con la sua Mitsubishi Lancer nel 2005.

L’esordio in gara di Gigi Galli nei rally avviene nel 1995 al Rally Alpi Orientali nel Trofeo Cinquecento concluso in undicesima posizione assieme a Daniele De Luis; trofeo che conclude quarto a fine anno, vincendolo l’anno successivo affiancato da Marisa Merlin, successo che gli apre le porte a disputare la stagione 1997 nel Campionato Europeo con una Ford Escort RS. Nel 1998 vince il Campionato Italiano Gruppo N, primeggiando nella classe al Piancavallo al Liburna, Lana, Alpi Orientali e Sanremo. Nel 1999 è settimo nel Produzione WRC vincendo la categoria al Sanremo, mentre nel 2000 bissa il successo nel Campionato Italiano Gruppo N imponendosi al Ciocco, Mille Miglia, Salento, San Martino di Castrozza, Alpi Orientali e Sanremo, dove conclude davanti anche ai protagonisti del Mondiale. Il 2001 è una stagione transitoria, mentre nel 2002 conclude settimo nel Campionato Mondiale S1600 e terzo in quello italiano di categoria con una Punto S1600.

Il 2003 è l’anno in cui Gigi Galli diventa ufficiale di RalliArt Italy nel Campionato Italiano Rally, che conclude sesto e quarto nel Terra, approdando nel 2004 nel Mondiale Rally come pilota ufficiale di Mitsubishi Motorsport affiancato da Guido d’Amore, ottenendo un buon sesto posto in Sardegna guidando la Lancer sia in versione WRC sia in versione Gruppo N. Nel 2005 è ancora pilota ufficiale di Mitsubishi nel mondiale centrando un quinto posto in Germania, chiudendo 11° assoluto nel mondiale a fine campionato. Il 2006 vede l’improvviso ritiro di Mitsubishi dal mondiale e Galli disputa le prime due gare con una Lancer del Team RallyArt Italy (centrando un quarto posto assoluto in Svezia) e dopo essere rimasto alla finestra per altre due gare, rientra nel mondiale in Corsica su Peugeot 307 WRC sponsorizzata Pirelli centrando in Argentina il primo podio mondiale e chiudendo nuovamente 11° assoluto a fine anno, vincendo nuovamente il Memorial Bettega. Il 2007 è un’altra annata difficile. Nonostante un accordo per disputare otto gare iridate con una Citroën Xsara WRC, è costretto a interrompere la stagione dopo sole tre gare per mancanza di fondi.

Conclude la carriera nel mondiale come pilota ufficiale nel 2008 guidando una Ford Escort RS WRC del team M-Sport Stobard, affiancato da Giovanni Bernacchini con cui ottiene in terzo posto in Svezia e il quarto in Sardegna. Purtroppo ad agosto un incidente in Germania, uscita di strada e schianto contro un albero, con frattura del femore nella quinta prova Grafschft-Veldenz mentre è ottavo assoluto, mettono fine alla carriera iridata di Gigi Galli, che a fine stagione centra un secondo posto al Memorial Bettega. Nonostante qualche test nella stagione successiva non rientra più nel mondiale.

Da allora per Gigi Galli solo qualche sporadica apparizione rallistica come apripista, impegnandosi con una Kia Rio Prototipo nel Campionato Italiano Rallycross (vincendo tutte le prove) e Campionato Italiano Velocità su Ghiaccio che vince nel 2019.

Buon compleanno a Flaminio Bertoni

Il papà delle più futuristiche Citroën

MASNAGO (Varese), 10 gennaio – Flaminio Bertoni è nato nel comune di Masnago (che in seguito verrà accorpato al comune di Varese) il 10 gennaio 1903 ed è morto a Parigi il 7 febbraio 1964. Grande scultore è universalmente considerato come uno dei maggiori stilisti di automobili di tutti i tempi, ma il suo nome è pochissimo conosciuto sconosciuto in Italia spesso confuso con l’assonante  Nuccio Bertone.

Appena conseguita la licenza tecnica nel 1918, Flaminio Bertoni entrò come apprendista nella Carrozzeria Macchi di Varese. Cinque anni dopo, alcuni tecnici francesi in visita alla Macchi, vista la creatività del giovane disegnatore, lo esortano a fare esperienza in Francia. In quegli anni, la Francia era il centro della ricerca automobilistica, la fucina delle idee che diedero vita all’automobile moderna. Bertoni, che parlava un pessimo francese, a scanso di equivoci si presentò ad André Citroën esibendo un suo brevetto per il sollevamento pneumatico dei finestrini. Venne assunto immediatamente. Ritenendo d’aver accumulato sufficiente esperienza, un paio d’anni più tardi, Bertoni rientrò a Varese ed aprì uno studio di progettazione; aveva, però, idee troppo progredite per l’imprenditoria italiana del tempo, ancora basata sul concetto di famiglia-impresa e su progetti di immediato utilizzo, ma di breve respiro; di conseguenza ritornò a Parigi, nel 1931, per non fare più ritorno in Italia.

Dopo una breve esperienza nella Société Industrielle de Carrosserie, rientrò alla Citroën, trovandosi ad essere l’uomo giusto, al posto e nel momento giusti. Gli venne commissionata la forma della futura “Citroën Traction Avant” e, per la prima volta nella storia dell’automobile, ne realizzò il progetto in tridimensione, eseguendo la maquette della vettura in scala, grazie sue doti di scultore. Da allora firmò le più importanti automobili Citroën fino al 1964, tra cui la “2CV” e la “DS“. Gli eventi e le conseguenze della seconda guerra mondiale si scontrarono spesso con il carattere imprevedibile e per nulla docile di Bertoni. Nel 1940 venne arrestato per il suo rifiuto di firmare un atto di fedeltà alla Francia, in abiura della sua patria d’origine. Nel 1944 fu nuovamente arrestato con l’accusa di aver contribuito al funzionamento della Citroën durante il periodo bellico. Si trattava, però, di una maldestra montatura per addossare l’onta del collaborazionismo a cittadini non francesi, ben presto sgonFiatasi e, nel 1961, definitivamente emendata con la nomina a Cavaliere delle Arti e delle Lettere che Bertoni ricevette dallo scrittore André Malraux, allora Ministro della Cultura nel Governo De Gaulle. Colpito da un ictus il 6 febbraio 1964, Bertoni morì il giorno dopo, all’età di 61 anni, nella cittadina di Antony, dove è sepolto con la moglie Lucienne Marodon e il secondogenito Serge, lontano dall’Italia che non volle rinnegare e ignorato dagli Italiani che però s’innamorarono delle linee armoniose della “Due Cavalli” e della “Diesse“, il più delle volte senza sapere che l’autore era uno di loro.

  • Nel 1961 il Ministero della Cultura della Francia gli assegnò il titolo di officier de l’Ordre des Arts et des Lettres (Cavaliere delle Arti e delle Lettere) per mano dallo scrittore André Malraux, allora Ministro della Cultura nel governo De Gaulle.
  • Nel gennaio 2003 è stata intitolata a Bertoni la scalinata a Masnago, suo quartiere natale, che da via Caracciolo porta in via Cola di Rienzo.
  • Il 10 maggio 2007 è stato inaugurato a Varese il Museo Bertoni, nello stesso edificio che ospita il liceo artistico e alcuni uffici della provincia.
  • un padiglione interamente dedicato al designer e stilista automobilistico varesino é presente presso il museo del volo “Volandia” a Somma Lombardo (VA), in cui oltre alle automobili di fama mondiale come la Citroën DS, sono esposti i bozzetti, le sculture e gli studi dell’artista.

Buon compleanno Miki, doppio iridato

BASSANO DEL GRAPPA (VI), 7 gennaio – Massimo “Miki” Biasion è nato a Bassano del Grappa il 7 gennaio 1958. È il pilota più blasonato del rallismo italiano, avendo conquistato due volte il titolo mondiale (1988 con la Delta 4 WD e Integrale e 1989 la Delta Integrale e Integrale 16V), un titolo europeo (1983, Lancia 037) e un Campionato Italiano Rally (1983 Lancia 037 Rally). In carriera ha disputato 178 rally, a partire dall’esordio dal Rally Città di Modena del 1979 con Tiziano Siviero su Opel Kadett GT/E, sino al portoghese Rally Spirit Historic del 2016 al volante di una Lancia 037, presenziando successivamente solo a eventi non in forma agonistica, come Rally Legend 2020, l’ultima su Stratos a fianco della moglie Paola, con la quale nell’autunno 2021 ha condiviso l’avventura alla Fiorio Cup, terminando quinto su Hyundai i20

Nel campionato del mondo ha disputato 78 gare, vincendone 17, salendo sul podio 40 volte dal momento dell’esordio al Sanremo 1980 (su Opel Ascona, ritirato per rottura del differenziale), fino al Rallye RAC 1994, terminato con un ritiro per noie elettriche alla sua Ford Escort RS. Di queste 78 gare 77 le ha disputate con Tiziano Siviero, appiedato per motivi disciplinari al Rally di Portogallo del 1988, gara vinta da Biasion su Delta Integrale con Carlo Cassina a fianco. La prima vittoria nel mondiale per Biasion arrivò al Rally di Argentina del 1986 su Delta S4, l’ultima all’Acropoli del 1993 su Escort RS Cosworth. Nel corso della sua fantastica carriera Biasion ha collezionato 768 punti mondiali, prima volta al Sanremo 1981 su Ascona 400, gara in cui vince anche la prima delle 372 prove speciali,  andando a punti per l’ultima volta al Sanremo 1994, conquistando la sua ultima prova qualche mese dopo al RAC, in entrambi i casi con la Escort Cosworth.

Dopo aver corso dal 1979 al 1982 con le Opel, anche ufficiali della squadra Conrero, ottenendo due vittorie al Rally Lana al con Rudy e al 100mila Trabucchi con Tiziano Siviero, Miki Biasion viene ingaggiato dalla squadra ufficiale Lancia con la quale, nelle prime tre stagioni partecipa al Campionato Italiano ed Europeo conquistandoli entrambi nel 1983 grazie a sei successi assoluti. Dal 1985 inizia a frequentare stabilmente le prove speciali del mondiale partecipando a quattro gare con la Lancia 037 a partire dal Montecarlo concluso nono assoluto, passando alla Delta S4 nell’annata successiva, quando conquista la sua prima vittoria chiudendo la stagione al quinto posto assoluto. Nel 1987 chiuse secondo, con tre vittorie (Montecarlo, Argentina e Sanremo), a soli 6 punti dal compagno di squadra Kankkunen. Il 1988 e 1989 son gli anni dei titoli iridati con cinque vittorie nel 1988 (Portogallo, Safari, Acropoli, Olympus e Sanremo) e altre cinque nella stagione successiva (Montecarlo, Portogallo, Safari, Grecia e Sanremo.) 

Nel 1990 sono solo due i successi mondiali e chiude quarto con la Delta, risultato bissato l’anno successivo, senza vittorie. Per il 1992 la Lancia chiude la squadra ufficiale e Biasion si accasa, con molte speranze con la Ford, usando la Sierra RS Cosworth, ancora quarto con poche soddisfazioni (due soli podi secondo in Portogallo 1992 e terzo all’Acropoli 1992) e nel 1993 con la Escort RS Cosworth, nuovamente quarto con una sola vittoria all’Acropoli e nel 1994 sesto a fine mondiale con due podi (terzo) in Portogallo e Sanremo. Nel 1995 passa alla Subaru, ottenendo con solo il quarto posto al Sanremo (non valido per il mondiale, ma solo per il WRC 2 Litri), chiudendo così la sua carriera iridata.

Nel Campionato Europeo l’accoppiata Biasion-Siviero disputò 34 gare fra il Targa Florio del 1980, con la Opel Ascona (quinti assoluti) e il vittorioso Halkidiki Rally 1985 (Grecia) con la Lancia Rally, conquistando il titolo nel 1983, ottenendo 11 vittorie (la prima il Lana 1982 con l’Ascona 400 e l’ultima all’Halkidiki) vincendo 64 prove speciali e siglando 1001 punti. Biasion-Siviero si sono impegnati principalmente nel mondiale rally, ma hanno conquistato anche un titolo italiano nel 1983. Serie in cui hanno disputato 46 gare (dal 100mila Trabucchi del 1979 con la Opel Kadett GT/E al Sanremo 1995 su Subaru Impreza 555), vincendone sette (dal Lana 1982 al Sanremo 1989), segnando il miglior tempo in 45 prove speciali.

Nel 1989 vinse anche il Giro D’Italia sulla Alfa Romeo 75 Turbo affiancato da Tiziano Siviero, mentre Riccardo Patrese si occupava delle frazioni in pista, dopo che con la vettura del Portello ha disputato il campionato turismo.

Miki Biasion ha ottenuto grandi soddisfazioni anche dai raid con cui inizia a correre nel 1997 centrando il subito il secondo posto al Master Rally Europa-Asia-Russia, vincendo la Coppa del Mondo Tout Terrain nel 1998 grazie a tre vittorie Tunisia, Faraoni e Abu Dhabi e nel 1999 primeggiando in quattro gare Tunisia, Faraoni, Abu Dhabi e Marocco su IVECO Eurocargo, gara che vincerà nuovamente nel 2011. Nel suo curriculum compaiono anche sette partecipazioni alla Dakar (miglior risultato nel 1999 con Tiziano Siviero e Livio Diamante), gara alla quale ha partecipato anche nel 2007 con una Panda 4×4.

Buon compleanno Dante Giacosa, papà di tutte le Fiat

ROMA, 3 gennaio – Per quarant’anni tutte le Fiat sono uscite dalla sua matita. Anzi, dal suo tecnigrafo. Dante Giacosa, nato a Roma il 3 gennaio 1905 e morto a Torino, il 31 marzo 1996 è stato il padre di tutte le Fiat dalla 500 (la Topolino, per intenderci) del 1936 alla 126 del 1972, esperienza che ha condensato nel libro “I miei quarant’anni alla Fiat”. La famiglia Giacosa era originaria di Neive (CN), trasferita a Roma per seguire il padre Costantino, maresciallo dei carabinieri. Studente modello ricordava così i suoi studi classici: “Conoscere la lingua greca e quella latina ha dato un senso di misura ed equilibrio senza il quale non avrei potuto svolgere il mio lavoro”.  A soli 22 anni, nel 1927, si laurea in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino.

Il primo contatto con il mondo del lavoro non fu fortunato per Giacosa. Rispose a un annuncio da parte della SPA (Società Piemontese Automobili) da poco tempo in orbita FIAT, alla ricerca di un disegnatore meccanico, ma venne scartato. A fargli ottenere quel lavoro provvede Vittorio Valletta, direttore centrale di FIAT e conoscente di famiglia. Quel lavoro non soddisfa il giovane Dante, che passa le giornate a ripassare lucidi, non potendo esprimere la sua creatività tecnica. Allora (1928) esegue alcuni progetti e li sottopone alla dirigenza SPA che si convincono a offrire a Dante Giacosa incarichi più importanti e gratificanti. La definitiva chiusura della SPA fa spostare l’ufficio progettazione dell’azienda presso lo stabilimento del Lingotto e nel 1929 anche Giacosa si trasferisce in via Nizza per seguire il trattore agricolo P4, per approdare l’anno successivo al reparto motori automobilistici FIAT. Fu l’inizio di una carriera intensa e ricca di soddisfazioni per una posizione che passerà dall’essere uno dei tanti disegnatori pagato appena 600 lire al mese (circa 550 € odierni, dieci anni dopo l’italiano medio sogna uno stipendio di mille lire al mese) sino a essere il dirigente a capo dell’intero reparto progettazione FIAT, passando attraverso il divenire capo dell’ufficio tecnico vetture nel 1933 8° 28 anni), quindi capo della direzione superiore tecnica degli autoveicoli (1955) e nel 1966 direttore di divisione divenendo anche membro del consiglio direttivo della FIAT.

La carriera di Dante Giacosa può essere suddivisa in due grandi sezioni: dal 1928 al 1946 caratterizzato da una costante crescita professionale e continua ricerca di maggior conoscenza nel settore progettuale. Il secondo periodo va dal dopoguerra al 1970, anno in cui si dimise con massima discrezione per raggiunti limiti di età (nonostante il 29 gennaio di quell’anno fosse stato nominato consulente alla presidenza e alla direzione generale, e rappresentante della FIAT presso i più importanti enti nazionali e internazionali). Periodo nel quale poté esprimersi in tutto il settore motoristico dell’azienda torinese, da quello automobilistico a quello aeronautico, da quello marino sino alla sezione Grandi Motori per usi industriali e ed energetici. Occupandosi anche di progettazione dei veicoli speciali e militari, occupandosi spesso non solo dell’aspetto motoristico, ma anche del design della vettura, come ad esempio nel caso della Nuova 500 del 1957, vettura che gli regalò il “Compasso d’Oro” nel 1959, avendo sotto la sua direzione anche il Centro Stile FIAT, creato nel 1959 proprio per volere di Giacosa.

Terminata la carriera in FIAT, si dedicò alla scrittura di libri e consulenze.

Morì il 31 marzo 1996 a Torino ed è sepolto nel cimitero dell’originaria Neive (CN).

Fondamentale per tutti i motoristi è il suo “Motori endotermici” pubblicato nel 1956 come libro di testo per i periti meccanici; dopo il suo pensionamento scrisse “I miei quarant’anni di progettazione alla FIAT” (Automobilia, Milano, 1979), “L’architettura delle macchine. Il Rinascimento” (Mazzotta, Milano, 1982) e “Progetti alla FIAT prima del computer” (Automobilia, Milano, 1989). Dal 1947 fu professore al Politecnico di Torino, fece parte di diverse associazioni (CUNA, Commissione Unificazione e Normalizzazione Autoveicoli; membro SAE (society of automotive engineers, USA), membro dell’Institution of Mechanical Engineers britannica), fu presidente generale ATA (associazione tecnica dell’automobile), presidente della Fisita (fédération internationale des sociétés des ingénieurs des techniques de l’automobile). Nel 1987 fu fra i fondatori dell’AISA (Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile) venendo nominato primo presidente.

Nel corso della sua carriera lavorò su numerose automobili a cominciare dalla 500 Topolino (1936) la prima vettura di cui fu interamente responsabile. 508 C/1100 Nuova Balilla (1937); 2800 (1939) vettura 6 cilindri costruita in solo 620 esemplari in versione berlina di rappresentanza e in versione torpedo per le parate militari. Progettò la Cisitalia D46, la monoposto voluta da Piero Dusio nel 1946, derivata dalla Balilla e Topolino; la Cisitalia 202, coupé derivata dalla precedente D46, considerata una delle più belle auto di tutti i tempi ed esposta al MOMA di New York. La berlina aerodinamica 6 cilindri 1500 D (1948) e 1500 E (1949) evoluzione della berlina anteguerra, alla cui progettazione Giacosa non aveva collaborato. Fiat 1400 (1949) prima berlina FIAT a scocca portante e sua successiva evoluzione 1900 (1952) prodotta anche in versione Cabriolet, Diesel (1953). Fiat Campagnola (1951) fuoristrada prodotta anche in versione militare AR 51. FIAT 8V splendido coupé due posti, motore 8 cilindri due litri prodotta dal 1952 al 1954 in appena 114 esemplari la maggior parte dei quali vestiti dai migliori carrozzieri dell’epoca. FIAT 1100 103 del 1953, e successive evoluzioni fino alla 1100 R del 1966 e la 1200 Granluce, prodotte anche in versione familiare e spider. Fiat Turbina (1954) prototipo sperimentale che prevedeva un motore spinto da una turbina a gas. L’unico esemplare costruito è visibile al Museo dell’automobile di Torino. Fiat 600 costruita dal 1955 al 1969 prodotta in quasi 5 milioni di esemplari (compresi quelli su licenza) fu l’auto che motorizzo gli italiani e non solo nel dopoguerra, da cui derivò la FIAT 600 Multipla (240.000 esemplari fra il 1956 e il 1967) che può essere considerata il primo monovolume della storia. Fiat Nuova 500 (1957-1975, oltre cinque milioni di esemplari prodotti) il più grande successo commerciali di Giacosa e ora veicolo cult fra i collezionisti. Dalla Nuova 500 derivarono la 500 Giardiniera (1960-1967) e Autobianchi Bianchina (1957-1969) versione ricca della 500. FIAT 1800, 2100, 2300 (1959) ammiraglia a sei cilindri della FIAT prodotta anche in versione coupé; FIAT 1300-1500 berlina quattro cilindri medio alta prodotta dal 1961 con un design di forte ispirazione americana ( si rifà nelle forme alla Chevrolet Corvair) proposta anche in versione coupé e spider. Autobianchi Primula (1964) prima vettura italiana di grande serie a trazione anteriore, schema che verrà riproposto anche sulla successiva berlina Autobianchi A111 (1969) e dalla fortunata utilitaria A112 (1969-1986) proposta elegante di vettura cittadina e sportiva. FIAT 124 (1966-1974) di cui esistono anche versioni sportive coupé e spider e Fiat 125 (1967-1972) solide berline a trazione posteriore. FIAT Dino, versione Fiat della sportiva a sei cilindri Dino Ferrari prodotta in versione coupé (1966) e spider (1967). FIAT 130, ammiraglia sei cilindri della casa torinese prodotta anche in versione coupé. FIAT 128 (1970), vincitrice del premio Auto dell’Anno, nella quale Giacosa riversò le esperienze acquisite con la Primula e l’Autobianchi A111. Fiat 127 (1971) si può considerare il canto de cigno di Dante Giacosa.

Non tutti i progetti di Giacosa giunsero felicemente in porto, anche se significativi tecnicamente, ma immaturi nel momento storico. A cominciare dal progetto 700, costruito in due esemplari, uno solo sopravvissuto e conservato al Centro Storico Fiat, era la vettura che si sarebbe posizionata fra la Topolino e la Balilla, che sarebbe dovuta entrare nel mercato nel 1941. La guerra ne impedì la nascita. Progetto 122 una vettura a trazione e motore posteriore che avrebbe dovuto inserirsi fra la 600 e la 1100, ma in Fiat preferirono immettere sul mercato la nuova 850. Il lavoro del progetto 122 non andò perduto perché servi per realizzare la SIMCA 1000 (allora la casa francese era nelle mani della FIAT) che fu prodotta a partire dal 1961. E il successivo progetto 123, a trazione anteriore, ma in FIAT preferirono il progetto più conservativo della 124, mentre Giacosa continuò i suoi studi sulle tutto avanti con la Primula e l’Autobianchi A111.